Nutro viva riconoscenza per la "scuola florentina" di pedagogía per quanto mi ha insegnato, per le lotte che mi ha consentito di condurre insieme ad essa per la riforma democrática della scuola, per gli stimoli e le occasioni che mi ha dato di sviluppare motivi di studio e di ricerca. Anche se alio scopo credo sia opportuno distinguere, al fine di meglio identificare i positivi apporti che ho ricevuto, tre aspetti o momenti.
In primo luogo porrei quello della "scuola di Firenze" in senso stretto, dei vari pedagogisti operand nel Magistero di Firenze, e soprattutto di Lamberto Borghi, maestro e guida della pedagogía democrática, sviluppata all'insegna dell approfondimento e dell'integrazione del pensiero di John Dewey, e della fondazione di una nuova storiografia pedagógica, sottratta alle falsificazioni retoriche, all'insegna dell'insegnamento di Gaetano Salvemini.
Secondo aspetto: la "scuola di Firenze" va considerata e si è proposta nel senso del bel libro ad essa dedicato da Franco Cambi (Cambi, 1982), testo che ho più volte adottato nei miei corsi universitari, riscontrando il vivo interes- se dei miei allievi. La "scuola florentina" del Magistero appare allora come il centro di coagulo e propulsione di tutto un movimento per il rinnovamento scolastico che si è battuto contro incrostazioni conservatrici per una scuola veramente di tutti, valorizzatrice il più possibile delle potenzialità di ognuno nella positiva saldatura e nel reciproco potenziamento dell'individuo e della società. In questo movimento confluivano forze editoriali, associative, univer- sitarie, politiche, sindacali, di partecipazione scolastica e civile di tutto il pae- se, rispetto alie quali il Magistero di Firenze si poneva come luogo e occasione di rilancio e di incontro.
Il terzo momento è quello dellattività di ricerca pedagógica del Magistero di Firenze divenuto Facoltà di Scienze della Formazione dagli Ultimi decenni del secolo scorso ad oggi. Questa attivitá di studio e ricerca, come ha scritto Franco Cambi, che ne è stato appassionato e inventivo animatore, ha mira- to a porsi "sulle orme dei maestri verso nuove frontière", senza voler quindi dimenticare il "modello laico-progressista, deweyano e democrático" da cui proveniva (Cambi, 2010, p.24). Un operazione per la verità non facile in un pa- ese in cui la carica riformatrice si andava spegnendo e sul quale calava un aria pesante di restaurazione. In questo periodo, sempre all'insegna della laicitá, criticità e ispirazione democrática, la "scuola di Firenze" si è andata común- que confrontando con originalità e acutezza con molti terni e ambiti nuovi ed è stata di stimolo coi suoi dibattiti, coi suoi convegni, con le sue pubblicazioni alla ricerca e al dialogo per tanti studiosi, me compreso.
Ma veniamo al punto di partenza della mia esperienza. Conseguita l'a- bilitazione magistrale sostenni e vinsi, ponendomi nei primi posti, il primo concorso magistrale bandito nel dopoguerra. La mia preparazione si era fon- damentalmente basata sulle Lezioni di didattica di Giuseppe Lombardo Ra- dice (Lombardo Radice, 1913) e Le "scuole nuove" e i loro problemi di Ernesto Codignola (Codignola, 1954).
Lombardo Radice, Codignola: due autorevoli pedagogisti gentiliani che avevano preso parte attivamente alla riforma del 1923, ma che se ne erano progressivamente staccati, delusi dai suoi esiti autoritari e illiberali, giungen- do progressivamente, Lombardo Radice prima, Codignola più tardi, a posi- zioni antifasciste e di rifiuto dellautoritarismo sempre più rozzo e pressante del regime. Come ha osservato Massimo L. Salvadori (Salvadori, 1967, p.49) "i Codignola si sentirono respinti sia dal fatto che Lauspicata serietà degli studi fosse compromessa da concessioni che, caduto Gentile, trovarono espressio- ne nel ministro Fedele sia dalla disillusione rappresentata dal Concordato sia dalla politicizzazione che sempre più apertamente il regime impose alla scuo- la; educatori come i Lombardo Radice, non fascisti ma convinti della bontà della riforma, furono portati da avvenimenti come il delitto Matteotti alia convinzione che nessuna collaborazione potesse darsi ad una attività di go- verno nefasta".
Le Lezioni di didattica mi avevano appassionato per la loro concreta ade- renza ai problemi della scuola e insieme per il loro riferimento ad un impe- gnativo orizzonte di teoría e di cultura. Dunque senso della realtà e idealismo critico che avevano saputo recuperare contro la mística nullificante dell'Atto la concretezza dell'individuo e del suo ambiente di vita, riducendo l'idealismo ad una istanza metodológica di crescita e di emancipazione della personalità di ognuno. In seguito ho studiato sempre più l'apporto del pedagogista catane- se, rifiutato dai fascisti per il suo essersi collocate dopo il 1924 all'opposizione di una scuola e di un sistema politico caratterizzati sempre più da una scelta di autoritarismo e di violenza, e trascurato a torio dopo la liberazione nel ricordo della sua partecipazione attiva alia riforma Gentile. Ho scritto vari studi su di lui, ricordando i suoi meriti, e facendolo oggetto di vari corsi universitari.
Ma il libro di Codignola sullattivismo mi aveva entusiásmate per la sua rivoluzionaria proposta dell'educazione nuova: dopo il pesante autoritarismo, il conformismo e la retorica delle scuole fasciste della mia formazione, di cui avevo sofferto la pesante imposizione, ecco le scuole attive permeate di spiri- to democrático, aper te alia cooper azione, all'autogoverno, alla valorizzazio- ne della personalità degli allievi inseriti in un libero e collaborativo contesto sociale, e al contributo positivo delle nuove scienze sociali, dalla psicología alia sociología. E al centro del movimento ecco la figura e il pensiero di John Dewey, cui Codignola dedicava, com'è stato notato, almeno trenta pagine, il filosofo e pedagogista forse più grande della democrazia moderna, promotore di una libera e continua valorizzazione costruttiva dellesperienza, orientata alio sviluppo gradúale di una umanità sempre più emancipata, più giusta, li- bera e solídale.
Da allora la lezione deweyana, via via più approfondita, è stata un riferi- mento assiduo e decisivo per la mia vita. E cosí ad esempio nel mio insegna- mento all'università ho proposto e commentato più volte testi come Democra- zia e educazione, accolti dagli studenti con grande interesse.
Allora Lombardo Radice e Codignola: ecco due veri e importanti capo- scuola della pedagogía del Novecento, operand nei due Magisteri di Roma e Firenze primigeni e più di rilievo, riformati e aperti anche ai maestri maschi dalla riforma Gentile, divenuti Facoltà nel 1935, e intelligentemente e con gran cura studiati rispettivamente da Furio Pesci, mio impegnato allievo e succes- sore alla Sapienza (Pesci, 1994), e da Antonio Santoni Rugiu e suoi collabora- ted (Di Bello, Mannucci, Santoni Rugiu, 1980; Di Bello, Federighi, Mannucci, Pizzitola, Santoni Rugiu, 1984).
Nei loro testi è stata ben messa in rilievo la questione della tormentata e difficile identitá che ha accompagnato la storia del Magistero: super-istituto magistrale o doppione della Facoltà di Lettere e Filosofía? scuola pratica e di promozione professional, sia pure di impegnativo livello, degli insegnanti o autentico e autónomo centro di ricerca? Credo che queste perplessità siano più che legittime. Meno pero per un caso: quello della pedagogía. Maestri come Lombardo Radice e Codignola seppero rendere i Magisteri di Roma e di Firenze vere Facoltà di Pedagogía, dando notevole dignità e non sul solo piano nazionale a questa disciplina sempre bistrattata e guardata con sospet- to, sviluppando il suo livello teórico come quello dellesperienza della viva scuola, criticamente ispirata e vagliata, e portata avanti dagli animosi maestri - scolari.
Risiedendo a Roma col diploma magistrale (e già insegnavo nella scuola elementare), era naturale che proseguissi gli studi nella Facoltà di Magistero capitolina. Li divenni appassionato allievo di Franco Lombardi, docente allora di storia della filosofía, che poi mi chiamô a svolgere (il mio primo ingres- so nell'insegnamento universitario) Fattività di "incaricato di esercitazioni". "Socialista senza tessera", reduce dai suoi studi in Germania in particolare sulla Sinistra hegeliana, sostenne col suo radicale realismo e naturalismo la mia completa rottura con le ingannevoli seduzioni dell'attualismo, rivelatesi sostanzialmente conservatrici, retoriche e autoritarie. Nella prospettiva di un mondo democrático di uomini liberi e operosamente collaborativi, Lombar- di prospettô con calore il valore di Dewey come il più orgánico e autorevole filosofo e pedagogista della democrazia, confermando il mio impegno per lo studio del teórico dello strumentalismo, destínate a divenire come ho detto lo stimolante punto di riferimento fondamentale per tutta la mia vita.
Intanto i miei studi, anche per l'influsso della mia esperienza di insegnan- te e per un mio bisogno di concretezza, si spostavano, ma senza rotture e con mai smentita continuità, dalla filosofía alla pedagogía. Cosi collaborai a lungo col pedagogista che al Magistero era succeduto a Lombardo Radice e che era allora il più autorevoie sulla scena pedagógica universitaria romana, Luigi Volpicelli.
La pedagogía alla Facoltà di Lettere e Filosofía della "Sapienza" di Roma era intanto in piena crisi dopo la grande straordinaria esperienza di Antonio Labriola e Luigi Credaro, e riprenderà slancio più tardi solo con la chiamata nel 1962 di Aldo Visalberghi, eminente seguace e studioso di Dewey specie per il versante epistemológico e scientifico, col quale poi, chiamato nel 1975 ad insegnare dalFUniversità di Bari alla sua Facoltà, ho positivamente colla- borato, unito da comuni ideali civili e orientamenti culturali. Era partecipe proprio di quella "scuola di Firenze" in senso lato a cui prima ho accennato, raccordo delle forze impegnate nella riforma della scuola in senso laico e de- mocrático. Chiamato dal Preside della Facoltà, nel quadro di un convegno sulla storia della sue "grandi scuole", ho nel 1994 ricostruito le fila di quello storico rilevante insegnamento di pedagogía, da Labriola a Credaro a Visal- berghi (Cives, 1994).
Già collaboratore di Bottai nella redazione della Carta della Scuola, "pro- venendo", come ha scritto Pesci, "da un'esperienza assai varia di pubblicista", Luigi Volpicelli "pedagogista atipico, porto nel Magistero una cultura di ma- trice inizialmente gentiliana, impregnata tuttavia di un forte interesse per la storia della scuola nella sua concretezza, un interesse orientate in modo po- livalente, ricco di suggestioni originali derívate dalla letteratura, dalla storia, dalla sociología" (Pesci, 1994, p.86). Più che un teórico, fu un organizzatore cultúrale, costitui all'interno del Magistero romano praticamente, nel suo istituto, una Facoltà di Scienze delFEducazione in nuce istituendo varie nuove cattedre specialistiche pedagogiche, tra cui quella di didattica per la quale mi affido Fincarico, curo per i suoi "Problemi della pedagogía" numeri monogra- fía con puntuali ricognizioni sulle pédagogie e scuole straniere, apri la ricerca educativa sui nuovi mezzi della comunicazione, dalla radio al cinema. Per luí a ragione Catalfamo parlo di "pedagogía della cultura", come quella direi di Lombardo Radice era stata una "pedagogía della scuola", ma non solo di queF la. ColPinsegnamento di Volpicelli, vitalissimo e fattosi sempre più umanisti- co e aperto alie realtà nuove, ho, come ho già dette, attivamente collaborate, muovendomi su terreni diversi e stimolanti.
Ma il mio cuore batteva particolarmente per la "scuola florentina" e per quello che rappresentava, particolarmente caratterizzata dalla proposta di- rompente e innovatrice del nuovo pensiero americano di Dewey per una edu- cazione emancipatrice di uomini liberi operanti per una società di libertà. E delle opere appunto di Dewey si era fatto con la sua casa éditrice florentina La Nuova Italia curatore e diffusore Ernesto Codignola che era divenuto sosteni- tore del suo pensiero e si era dedicate con forza alEimpegno della ricostruzio- ne di un sistema educativo auténticamente laico e democrático operante nel quadro e nella prospettiva di una società liberata. Codignola aveva sostenuto, come ha ricordato Borghi (Borghi, 1960, p.XXX), che "la scuola attiva non puô fiorire e prosperare se non in un atmosfera di libertá che dobbiamo difen- dere, in tutte le manifestazioni della vita", e che Eattivismo "non è un proble- ma puramente didattico, ma prima di tutto è un problema sociale".
Io non ho conosciuto personalmente Lombardo Radice (era scomparso nel 1938) e neppure Codignola. Ma subito dopo la morte di quest ultimo (av- venuta nel 1965) sono stato chiamato a consultare il suo Archivio conservato nella sua casa, per redigere un saggio per un numero monográfico di "Scuola e Citta" dedicate a Codignola sulEEnte di Cultura fondato, diretto e in un secondo momento anche presieduto da E. Codignola. L'Ente aveva avuto la delega dallo Stato per la gestione delle scuole rurali in località isolate e sper- dute della Toscana, delEEmilia e della Romagna, nel quadro di quella pagina generosa della storia delle scuole degli "enti delegati". Per quella ricerca, che condussi con la richiesta rapidità e con risultati che furono molto apprezzati, ebbi il piacere di conoscere la signora Anna Maria Codignola e di ammirare le grandi capacità organizzative del pedagogista del Magistero di Firenze (cfr. Cives, 1967).
A margine per la verità vorrei ricordare che anche Lombardo Radice ebbe un ruolo di introduzione in Italia del pensiero di Dewey, sia pur preliminare e pionieristico, pubblicando per Battiato già nel 1915 la sua Scuola e società (col titolo La scuola e la società) e compilando e facendo compilare dai suoi allievi vari articoli su di lui, anche se limitati a evidenziare soltanto o spe- cialmente i suoi meriti didattici (cfr. Cives, 1983, pp.57-94). E per gli "enti delegati" si prodigo come "consigliere scolastico" per EANIMI (cfr. Mattei, 2012, specie pp.125-154).
Lamberto Borghi ha magistralmente ricostruito le due fasi del pensiero di Codignola, con obiettività e penetrazione, quella attualistica, in cui Codigno- la si era particolarmente impegnato per il problema della formazione degli insegnanti e Eistituzione delElstituto Magistrale, e quella della lotta per la democrazia nella scuola e nella società, col lancio di Dewey, e Eemancipazione delEeducazione rinnovata dalle ipoteche confessionali e conservatrici.
Nella maturazione di questo secondo periodo Borghi vedeva Einflusso della fondazione di Codignola, con la signora Anna Maria, della scuola-città Pestalozzi, istituzione progressiva, aperta a Firenze subito dopo la liberazione (cfr. Laporta, 1960). Altri (cfr. specie Spini, 1960; Cirri, 1967) hanno messo in rilievo per la maturazione di Codignola, contrario al Concordato di Mussoli- ni, Eincidenza dei suoi important studi pluriennali sul Giansenismo, impe- gnato a difendere tra Settecento e Ottocento il motivo delE"autonomía della coscienza" da sopraffazioni ecclesiastiche controriformiste, non senza influssi sul nostro Risorgimento e su (particolarmente cari a Codignola) Lambruschi- ni e Capponi: in questi studi si sviluppava un motivo di interesse religioso non conformistico, che l'aveva sostenuto fin dal suo periodo idealistico.
Nella diffusione e nello sviluppo del pensiero di Dewey è poi appassionata- mente succeduto neirinsegnamento pedagógico florentino Lamberto Borghi, reduce dall'America ove si era rifugiato per le persecuzioni razziali fasciste, e che si era là direttamente incontrato nei suoi studi con lui e coi suoi allievi eminenti, come Kilpatrick. Col suo insegnamento, coi suoi scritti particolar- mente attenti al versante etico-sociale, il pensiero e la pedagogía di Dewey si sono diffusi in Italia, insieme a una assidua difesa dal conformismo e dalla re- torica, specie a tutela defi'individuo, cui Borghi con la sua spéciale sensibilità si potrebbe dire libertaria è sempre stato estremamente impegnato. Cosi Bor- ghi introduceva a una pedagogía moderna non provinciale, a una storiografia pedagógica attenta al sociale e anche alie forze minoritarie, a una pedagogía, metodología e sociología delleducazione di respiro internazionale.
L'insegnamento di Codignola e di Borghi ha avuto validi collaboratori ed è stato continuato e sviluppato al Magistero di Firenze dal dopoguerra, sotto- linea Cambi (Cambi, 2010, p.24), da almeno "cinque nuovi maestri': Antonio Santoni Rugiu, Tina Tomasi, Leonardo Trisciuzzi e Filippo De Sanctis, a cui va aggiunta anche Lydia Tornatore. Maestri che a quel modello hanno aggiun- to qualcosa di essenziale e originale".
Da tutti loro costituenti nel loro insieme la "scuola florentina" di pedagogía in senso specifico del Novecento, ho avuto apporti importanti per la mia for- mazione e lo sviluppo della mia pedagogía. In particolare con Borghi ho avuto rapporti sempre più calorosi e di affetto.
Valgono allora pienamente anche nei miei riguardi gli effetti esercitati sul panorama educativo italiano, che ha puntualmente rilevato per la "scuola flo- rentina" Franco Cambi (Cambi, 1984, p.155) quando ha scritto: "L'opera della 'scuola di Firenze' nell'ambito della cultura del dopoguerra è stata orientata a sprovincializzare i terni e i metodi del dibattito, a rinnovare autori e problemi, ad offrire, nel settore pedagógico, un aggiornamento ai livelli della pedago- gía europea e, in particolare, americana. Ció è avvenuto attraverso il contatto assai stretto con il pensiero di Dewey, con l'esperienza dell'attivismo, con la filosofía sociale delleducazione ed ha portato la ricerca pedagógica su un ter- reno ad un tempo più impegnato e scientifico rispetto a quello 'idealistico' che si chiudeva col '45", segnando appunto il superamento dell'"idealismo peda- gógico", della sua "filosofía astratta e speculativa". Anche per me, grazie alia sua lezione incisiva, si apriva un nuovo orizzonte educativo, più moderno, più rispettoso della personalità effettiva degli uomini, più raccordato al sapere cultúrale e scientifico del mondo e del nostro tempo.
Ma ho già detto che la "scuola florentina" assunse anche un ruolo più am- pio; fu il luogo di incontro, di coordinamento e sostegno di moite e diverse forze di orientamento democrático e si potrebbe dire liberal-socialiste e socia- liste democratiche, intermedie tra cattolici e marxisti, e pur aperte al dialogo con questi, per le istanze democratiche anche in loro o almeno in gran parte di loro contenute, e per una mediazione costruttiva e riformatrice comune (si pensi al centrosinistra). Cosí col pensiero e la lotta dei pedagogisti fiorentini si incontravano, prima nella difesa contro l'invadente confessionalismo, poi nel progetto e nel sostegno della riforma scolastica nel quadro del rinnova- mento della società, quelli di pedagogisti di altre sedi, da Raffaele Laporta a Aldo Visalberghi, da Francesco De Bartolomeis a Aldo Capitini, a Giovanni Maria Bertin e altri ancora. I loro scritti e i loro dibattiti erano accolti dalla rivista "Scuola e Città" e dalla éditrice "La Nuova Italia", entrambe florentine e di fondazione codignoliana. E la loro proposta educativa, che congiungeva il programma di una pedagogía moderna che saldasse laicità e prospettiva democrática, utopia e riforma, visione generale e scienza, filosofía e società, con forte riferimento alio strumentalismo di Dewey, al concreto impegno per il rinnovamento scolastico, si univa in particolare all'azione appassionata del- la política scolastica promossa specialmente da Tristano Codignola, figlio di Ernesto, e intanto succeduto a lui alla Nuova Italia, responsabile della sezione scuola del Partito Socialista Italiano.
Un'iniziativa stimolatrice, operante anche su altre forze sociali e politi- che. Insieme vi confluiva l'attività dei sindacati scolastici impegnati alia rifor- ma dell'istruzione, come per la scuola elementare lo SNASE, e i movimenti operand nella viva azione scolastica innovatrice come i CEMEA e il MCE. E naturalmente tanti cittadini, tanti uomini di scuola, tanti altri studiosi aspi- ranti al rinnovamento della scuola e della società "secondo Costituzione", la Costituzione costruita sulle ceneri del fascismo e nata dalla Resistenza, in una straordinaria prodigiosa cooperazione delle forze politiche postfasciste.
Furono quelli, in cui la "scuola florentina" come si è detto fu centro di sti- molo e di incontro, anni entusiasmanti di fervore, di battaglie costruttive, di riflessione, di confronto, di iniziativa e di lotte liberatrici, che produssero un vivo rinnovamento della teoría, della storiografia, della metodología dell'e- ducazione e una serie di importanti riforme scolastiche: si pensi alia scuola media única, alia scuola materna statale, alla formazione universitaria degli educatori di scuola materna e elementare, all'integrazione degli alunni han- dicappati nella scuola comune, all'avvio della scuola a tempo pieno. Tempi lontani anni luce dalla depressione presente della condizione della pedagogía e della scuola, piegata in un'involuzione quasi ventennale da un miscuglio politico di populismo, demagogia, aziendalismo, corruzione e restaurazione, nel quadro di una profonda crisi morale e civile.
A quegli anni di appassionate battaglie per un'idea e una pratica nuova di educare presi anch'io parte attiva, ricevendo modelli, stimoli vivificanti e incoraggiamenti dalla "scuola florentina" intesa in senso allargato, scri- vendo in "Scuola e Città" e per la Nuova Italia Editrice, partecipando ai co- struttivi dibattiti di allora, battendomi contro le forze scolastiche e politiche frenanti e immobilistiche.
Un esempio? Gli atti dei due convegni nazionali romani dello SNASE, in cui sono stato fondatore e dirigente del suo Ufficio Studi Nazionale, del 1966 e del 1972, sulla scuola integrata e a tempo pieno da me promossi, li pubbli- cammo proprio su "Scuola e Città", con introduzione per il secondo dell'allora direttore Antonio Santoni Rugiu. E proprio con La Nuova Italia pubblicai nel 1966 e poi in edizione allargata un mió libro fortunato che fu di grande so- stegno alia lotta per la sua istituzione e il suo sviluppo (Cives, 1967). Anche quella riforma oggi è stata posta invece in sostanziale liquidazione, da parte di politici e amministratori avversi al suo grande valore di progresso.
Grazie dunque agli amici della "scuola di Firenze" e a coloro che insieme ad essa operarono a creare un clima e un ambiente di vivo fervore per la rifor- ma della scuola e a un tempo della società nella direzione di una sostanziale democrazia. Grazie, l'ho detto, per tutto quanto mi diedero, e per le tante occasioni che mi oífrirono di operare insieme.
Gli ultimi decenni del Novecento furono pero di crisi per la "scuola flo- rentina" allargata. Avanzavano F"antipedagogia", l'accusa faziosa derivata dal clima della guerra fredda di "americanismo" per varie sue posizioni, la tentazione del massimalismo rivoluzionario contrapposto al "migliorismo" deweyano. Cosí vari pedagogisti ed educatori misero in crisi le posizioni di adesione al gradualismo democrático che avevano prima sostenuto e misero in dilficoltà il fronte unito della democrazia scolastica. Ma alla grande lezione di Dewey che univa aspirazione ideale e aderenza alia lezione dell'esperienza intelligentemente interpretata erano pero rimasti fedeli studiosi e innovatori come Laporta e Visalberghi. Borghi, pur aprendosi al confronto piú dispo- nible con Marx, con Gramsci, con Adorno, mantenne esemplare fedeltà al suo maestro Dewey, vedendone e confermandone un sostanziale mai smentito equilibrio, pur dialettico, di emancipazione reciproca e integrazione collabo- rativa tra individuo e società (cfr. Cives, 2011), seguitando a cúrame via via altre sue opere pedagogiche. lo stesso mi trovavo in sostanza nelle loro posi- zioni, pero nulla intanto poteva eliminare lo sconquasso di quelle divisioni, cui com'ho ricordato è seguita di segno inverso la profonda recessione oltre che educativa etica e política, cui si è aggiunta infine anche quella molto grave económica e finanziaria.
Siamo cosí giunti alia fase attuale dell'attività della "scuola pedagógica" deH'Universitá di Firenze, divenuta da Magistern Facoltà di Scienze della For- mazione, ove ai precedenti docenti si sono uniti o si sono sostituiti, con la varietà dei loro interessi e delle loro competenze specifiche, nuovi professori: Carmen Betti, Enzo Catarsi, Alessandro Mariani, Paolo Orefice, Dario Ragaz- zini, Simonetta Ulivieri...
In particolare ricordero che fino alla metá degli anni '90 hanno insegna- to (purtroppo recentemente scomparsi) Antonio Santoni Rugiu e Leonardo Trisciuzzi: il primo con una ricca e riuscita produzione, particolarmente sulla storia sociale dell'educazione e su quella degli insegnanti in Italia, il secondo con un interesse pionieristico per la pedagogía ác\Y handicap, con lavori dif- fusamente apprezzati. Simonetta Ulivieri si è dedicata alio studio della peda- gogía "di genere" ed ha scritto diversi libri sugli insegnanti e sulla storia delle bambine. Va ricordato pure che Ulivieri e Trisciuzzi hanno fondato e diretto una delle più rilevanti collane pedagogiche d'oggi, "Scienze delleducazione" presso le Edizioni ETS di Pisa. Carmen Betti ha approfondito aspetti della storia della scuola italiana delEOttocento e del Novecento, con particolare ri- uscita attenzione per le vicende in essa del principio della laicità. Paolo Orefice si è particolarmente dedicato allô studio delleducazione degli adulti, perma- nente e continua. Dario Ragazzini ha in special modo ricostruito e analizzato la storia dcll'amminislrazione scolastica in Italia, mentre Enzo Catarsi si è de- dicato soprattutto allô studio della scuola italiana delPinfanzia e elementare e delleducazione familiäre. Alessandro Mariani ha specialmente approfondito Eanalisi della filosofía delleducazione nei suoi indirizzi più recenti. Con tutti loro ho avuto rapporti di amicizia, oltre che collaborativi.
Tra i pedagogisti fiorentini di questo periodo va fatto poi spéciale riferi- mento a Franco Cambi, a me particolarmente vicino, che con il suo spiccato rilievo ha assunto un ruolo di guida e di promozione cultúrale. Allievo e colla- boratore di Lamberto Borghi, Tina Tomasi e Giulio Preti, proveniente da mai smentiti interessi filosofici, Cambi si è caratterizzato, come hanno notato la Giambalvo e Mariani, per "un pensiero raffinato, una mente curiosa, un rigo- re costantemente mirato e una scrittura attenta", con notevoli qualità umane e intellettuali (Giambalvo e Mariani, 2011, pp.8-9), e una costante fedeltà a una filosofía critica e a una pedagogía democrática. I suoi numerosi studi hanno riguardato soprattutto la filosofía delleducazione, la pedagogía generale, l'e- pistemologia pedagógica, la storia della pedagogía, la letteratura per l'infan- zia. Senza smentire la lezione di provenienza laica e democrática deweyana, condivisa con i suoi colleghi fiorentini, e volendo restare in continuità con essa, Cambi hapuntato all'elaborazione di "una pedagogía 'per il tempo pre- sente' per quella Societá Complessa, del Disincanto, della Globalizzazione e del Postmoderno", com'egli ha scritto (Cambi, 2010, p.24), "in cui siamo radi- calmente collocati e che va interpretata (...) guardando al futuro, e a un 'futuro liberato', potremmo dire, e per il soggetto e per la societá".
II gusto del nuovo anima la ricerca di Cambi in chiave fondamentalmente filosófica ed esplode in una quantitá sorprendente di ricerche su temi nuovi, inediti, originali, come si puô vedere ad esempio consultando il suo denso vo- lume Vinquietudine della ricerca (Cambi, 2011), che vuol essere un consuntivo del suo lungo percorso appunto inquieto di ricerca universitaria, iniziata nel 1972, alie soglie del collocamento a riposo per i limiti di eta. In questo calei- doscopio di problemi affrontati Cambi non si smarrisce perché guarda sempre a un'istanza generale di fondo unificante e una prospettiva civile complessiva, appunto democrática. Quella istanza prospettica, filosófica d'insieme, quella visione storica generale che spesso risultano mancanti in tanti centri di ricer- ca pedagogici d'oggi, sperdutisi nelle elaborazioni di una tecnología sofisticata fine a se stessa, in varietà di ricerche, anche raffinate, chiuse in sé e senza rife- rimento a un orizzonte complessivo.
Per tutte queste ragioni, di grande stima, di condivisione e apprezzamento ho partecipato a tante iniziative culturali della attuale "scuola florentina" di pedagogía, collaborando - con entusiasmo, solidarietà e riconoscenza per gli stimoli di ricerca e lavoro comune offertimi - con Cambi e i suoi colleghi e collaboratori a pubblicazioni (come alcuni libri scritti con lo stesso Cambi), convegni, seminari, volumi di vario autore, periodici come l'importante rivi- sta "Studi sulla formazione" che Cambi ha fondato e dirige. Anche qui, sulla continuità della collaborazione, un esempio. In L'inquietudine della ricerca Cambi riporta gli indici dei suoi numeri apparsi dal 1998 al 2010. Ebbene ho costatato con sorpresa che in 23 numeri ho pubblicato ben 11 saggi e articoli, vari dei quali non ricordavo neppure di aver scritto. Una bella testimonianza di una collaborazione continuata e fedele.
Alle iniziative della "scuola di Firenze" di ieri e di oggi, lo confermo anco- ra, sono onorato e lieto di aver tante volte partecipato, ricevendone insegna- menti e stimoli alla ricerca e al lavoro comune.
In conclusione dirô che ri tengo che la "scuola florentina" d'oggi conservi ancora, in chiave democrática e laica, in questo periodo di involuzione e di crisi la fiducia e la potenzialitá della visione prospettica generale e della di- sponibilitá per un impegno civile che saldi democrazia política e educazione democrática. Fiducia e potenzialitá che v'é proprio bisogno ormai di tradurre in operatività concreta avviando, insieme ad altre forze vive e sensibili, la ri- costruzione política, morale, civile e soprattutto educativa necessaria al paese, dopo esser stato ridotto a un cosi grave stato di prostrazione e rovina.
Questo nella memoria della realizzazione dell'altra ricostruzione, dopo il disastro della guerra e della dittatura, quella degli anni "eroici" in cui l'Uni- versità di Codignola e di Borghi si fece guida dell'impegno italiano comune per creare una nuova libera scuola per una società di uomini liberi.
Qui il mió augurio, per un compito molto difficile.
Riferimenti bibliografici
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Giacomo Cives
Orsinario di storia della pedagogía, Université La Sapienza Roma
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