M. Frolova-Walker, Russian Music and Nationalism, From Glinka to Stalin, Yale University Press, New Haven-London 2007, pp. xiv-402.
Oggetto del lavoro di Marina Frolova-Walker sono i miti di esotismo e nazionalismo che caratterizzano la storiografia musicale russa, 'russicità' (Russianness) in musica, in particolare nel settore operistico dal tempo di Glinka a quello di Stalin. Spunto ne è la constatazione della sua persistenza nell'aspettativa del pubblico. In Occidente l'accentuazione del carattere russo ha garantito la permanenza della musica russa nei repertori da concerto, ma ha avuto l'effetto contrario in ambito accademico, provocando l'esclusione dei compositori russi dalla 'normale' storia della musica. Del resto in Unione Sovietica la musica russa veniva studiata come fosse indipendente da quella europea, e descritta in base a categorie di osservazione peculiari: in luogo di parametri tradizionali quali contrappunto o forma sonata, si faceva riferimento alla narodnost' e all'uso della canzone popolare. Intento dell'Autrice è quindi quello di impostare una discussione sulla musica russa che possa prescindere da questi estremi, reintegrando gli studi ad essa dedicati all'interno della musicologia e di un più vasto ambito culturale. In questo senso Frolova si pone sul cammino intrapreso da Richard Taruskin nel suo Defining Russia Musically (Princeton and Oxford, 1997), volto a smontare clichés che se oggi sono divenuti insostenibili in altri ambiti disciplinari, non sono ancora del tutto scomparsi dal settore musicologico.
Lo studio ai apre con l'analisi delle origini del mito del carattere nazionale del paese, la cosiddetta 'anima russa'. Dal carattere malinconico, sprofondata in una speculazione collettiva introspettiva e fatalista (il razgul cui Gogol' fa riferimento nei Passi scelti dalla corrispondenza con gli amici), l'anima russa si oppone nettamente a individualismo e pragmatismo occidentali. Questo mito si incarna in musica attraverso zizn' za carja (1836) di Michail Ivanovic Glinka, il cui spunto compositivo è costituito dall'altrettanto malinconica pesnja protjaznaja, citata o evocata dal compositore. La prima delle vie intraprese dal compositore per ottenere una musica autenticamente nazionale sarebbe stata quindi l'assimilazione degli stili popolari già tradizionalmente forieri di associazioni nazionali: canzone popolare in versione urbanizzata, romanza da salotto e danze polacche per rappresentare l'Altro.
Sul versante sacro il compositore avrebbe cercato di innestare nel contrappunto occidentale rinascimentale, opportunisticamente interpretato come metodo universale (a-nazionale), le caratteristiche della materia prima dello znamennyj kant, in un'archeologia mistificata che, grazie al contributo di teorici come Odoevskij, faceva risalire la musica russa agli antichi modi della musica greca. A partire dalla sua seconda opera, Ruslan i Ljudmila (1842) il nazionalismo musicale intraprende un cammino diverso. Glinka aveva infatti cercato di evitare la ripetizione di linguaggi e modelli riconoscibili, come il tradizionale ricorso alla citazione popolare e alla romanza da salotto pietroburghese. Per questo l'opera fu recepita dal pubblico dell'epoca come molto meno russa rispetto alla precedente. Ma come sottolinea Frolova, proprio nella sintesi dei migliori elementi del coevo panorama europeo il compositore aveva seguito le orme del suo omologo mito puskiniano. Fu nei decenni a seguire che l'opera divenne simbolo della scuola russa grazie ai compositori del gruppo dei Cinque (Balakirev, Borodin, Musorgskij, Cui e Rimskij-Korsakov), che paradossalmente la scelsero come modello per rappresentare la Russicità. Essi ne fecero propri i principali tratti distintivi, aggiungendovi scelte personali o tratte addirittura da modelli europei (Schumann o Liszt), e coniarono così il repertorio di risorse creative di quello che sarebbe divenuto lo 'Stile russo': una costruzione astratta quindi, lungi dalla dichiarata chozdenie v narod. Essi offrono un'immagine sanguigna e robusta, basata sull'idealizzazione del 'popolo contadino', i cui riferimenti sono ora danze e canzoni nuziali. Se Musorgskij resta vicino all'immagine letteraria, presentando nel Boris e in Chovanscina una Russia che si interroga sul proprio tragico destino, gli altri membri del gruppo dipingono un ritratto fiabesco, favorendo, a differenza degli slavofili, l'aspetto pagano come autentica espressione dello spirito russo. Sarà questa la rappresentazione trasmessa in Occidente dall'impresa parigina delle Saisons russes: basata su una gamma espressiva ridotta e tendente all'esteriorità, nella quale Orientalismo e ricchi colori orchestrali dovevano rendere un paese estraneo alla civilizzazione europea, è un'operazione commerciale che Djagilev proietta esclusivamente al mercato occidentale.
Per l'analisi dello 'Stile russo' del Gruppetto possente (la mogucaja kucka, per usare il nomignolo coniato da Vladimir Stasov) l'A. sceglie la produzione di Rimskij-Korsakov. In primo luogo l'A. segue le tracce di un singolo elemento nel vocabolario musicale del Gruppetto, che può essere visto come un marchio di fabbrica e che il pubblico Occidentale avrebbe prontamente identificato come portatore di associazioni russe o orientali. Sorta di cromatismo ascendente e discendente su un pedale fermo, è un elemento presente fin dal tempo di Glinka nella musica russa. Dalla fine degli anni '60 esso viene associato all'evocazione dell'Oriente per opera di Balakirev, che credeva in un antenato comune a popoli slavo e orientali, e diventa così un modo per rappresentare la russicità, piuttosto che qualcosa di alieno ad essa. In seguito l'A. affronta il ricorso alla canzone popolare, l'adozione dell'idioma della chiesa ortodossa, e il tipo di armonia adottata dalla Kucka. Nel confronto della prima variante della Fanciulla di Pskov (1872) con una tarda versione revisionata dallo stesso Rimskij (1892) evidenzia come l'iniziale audacia dei primi anni si sia in seguito trasformata in qualcosa di più accurato ma forse meno emozionante, una tendenza, questa, propria non solo di questo compositore. Lo Stile russo tramonta con la percezione dei suoi limiti creativi e della nozione stessa di musica nazionale, e nella produzione tarda del compositore questo disincanto assume la forma del totale abbandono (in Servilia, 1901 e Pan voivoda, 1903), o dell'applicazione in modo addirittura parodistico (Il gallo d'oro, 1909). Gli studenti di Rimskij furono educati, al Conservatorio, secondo uno stile 'ripulito' molto distante dallo sperimentalismo della Kucka, che non solo ignorava l'accademismo, ma vi si opponeva in quanto influenza europea che inibiva l'emergere di una musica veramente nazionale. La generazione di Glazunov non vedrà già nessuna contraddizione nella combinazione di composizione classica con il linguaggio kuckista.
In seguito, la stessa generazione avrebbe contestato alla Scuola nazionale l'autenticità della produzione, ricercando ancora l'autenticità nella canzone popolare e nella musica sacra. Musicisti e soprattutto studiosi di questa generazione (Mel'gunov, Kastal'skij, Sokalskij, Palcikov, Stachovic), in una logica ora consonante con lo schema slavofilo, ritenevano che la russicità delle origini sarebbe stata contaminata dall'infiltrazione di idee e pratiche occidentali, e fondavano le basi per la sua rinascita culturale nella ricerca delle regole di armonizzazione delle canzoni popolari o delle melodie del kant. In questa fase la discussione tecnica sulle podgoloski (etero/polifonia popolare) e sulla presenza della sensibile si fa sempre più sofisticata, e artisticamente arida, con una prima generazione di etnomusicologi che si reca nelle comunità contadine per trascrivere, senza mezzi adeguati, le canzoni popolari, e quindi con le trascrizioni fonografiche di Evgenija Linëva. I progetti incentrati sulla musica sacra appaiono più fruttuosi, dando luogo a una nuova scuola di musica liturgica, la cui produzione viene tuttora eseguita nelle maggiori chiese ortodosse e riproposta spesso anche in concerto. È il caso, per citare il più noto, della Messa vespertina per coro di Rachmaninov (1915).
Il nazionalismo si ripresenta in nuova veste nell'Unione Sovietica di Stalin. Se Lenin aveva visto nella persistenza dello sciovinismo granderusso uno dei maggiori ostacoli alla nascita di una società socialista, negli anni '30 e in particolare nel secondo dopoguerra Stalin lo sfruttò come forza ideologica intesa a rendere più coeso il sistema, incoraggiando al tempo stesso il riconoscimento (culturale) delle singole nazionalità. In un progetto di costruzione nazionale che interessò tutti i compositori accreditati, già prima della guerra si richiese sempre più di tornare allo Stile russo della Kucka, mentre i compositori di altre nazionalità dovevano guardare all'Orientalismo dei Cinque applicando un più accurato colorito locale. L'excursus si conclude con un breve riferimento al caso di Sostakovic e Prokof 'ev che, ufficiosamente esenti da tali richieste, vi si dovranno conformare dopo il 1948.
Per chi non disponga di una conoscenza del lato tecnico della musica questo saggio può risultare di lettura difficile, anche se dal punto di vista del musicologo il riferimento concreto al lavoro sulle fonti non può che essere un valore. D'altra parte, in alcuni punti della narrazione il lettore rischia di incontrare delle difficoltà nella percezione del concetto stesso di nazionalismo, la cui evoluzione nel tempo non risulta sempre segnalata. Non appare uniformemente chiara nel corso dell'excursus la distinzione, nel caso vi sia, tra il punto di vista dell'autorità politica (dell'Impero o dell'Unione sovietica) e quello dei protagonisti diretti della produzione musicale. Ciò appare sintomatico nel titolo stesso, che oppone un musicista, Glinka, a un uomo politico. E questo sembra imputabile proprio al doppio punto di osservazione, musicologico e storicoantropologico, in quanto molti sono i fattori di cui tenere conto. Tuttavia l'A. ha il merito di ristabilire il contatto tra la storia della musica e quella più generale della cultura del paese, un contatto che spesso si perde nell'analisi accademica, ma che sussiste realmente nei fatti. Forse nel caso russo più che in altri, la musica rientra a pieno titolo nella storia del paese, e i suoi protagonisti, intelligenty alla pari dei loro coevi storici e scrittori, non possono essere considerati esclusivamente in uno spazio in disparte, in quanto offrono un punto di vista che può validamente integrare la visione di un dato contesto storico. Proprio per evitare che alla frattura storiografica cui l'A. fa riferimento in apertura (musica e musica russa), non se ne aggiunga una seconda (cultura e musica russa), questo libro risulta di reale interesse per chiunque si occupi di cultura russa.
Anna Giust
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Abstract
M. Frolova-Walker, Russian Music and Nationalism, From Glinka to Stalin, Yale University Press, New Haven-London 2007, pp. xiv-402. Oggetto del lavoro di Marina Frolova-Walker sono i miti di esotismo e nazionalismo che caratterizzano la storiografia musicale russa, 'russicità' (Russianness) in musica, in particolare nel settore operistico dal tempo di Glinka a quello di Stalin. Del resto in Unione Sovietica la musica russa veniva studiata come fosse indipendente da quella europea, e descritta in base a categorie di osservazione peculiari: in luogo di parametri tradizionali quali contrappunto o forma sonata, si faceva riferimento alla narodnost' e all'uso della canzone popolare. Intento dell'Autrice è quindi quello di impostare una discussione sulla musica russa che possa prescindere da questi estremi, reintegrando gli studi ad essa dedicati all'interno della musicologia e di un più vasto ambito culturale.
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