Abstract: Essere donna migrante implica molti significati: si può essere primo migrante, per decisione familiare o personale, e quindi sobbarcarsi la responsabilità economica del progetto migratorio; si può essere moglie di un marito a cui ricon- giungersi o da cui farsi ricongiungere per poi affrontare assieme le incertezze del mercato lavorativo; si può essere madre che "trascina" i propri figli in un altrove spesso ignoto o madre a distanza che lotta quotidianamente per mantenere o ricos- truire il rapporto con i figli rimasti oltreoceano; ma significa soprattutto essere donna che affronta giorno per giorno la rinegoziazione culturale e le difficoltà in termini di stereotipizzazioni che la migrazione implica e lo fa nel rapporto con la società d'accoglienza, ma soprattutto nel rapporto con se stessa, con il suo io migrante. Tutti questi aspetti sono contenuti nell'intervista fatta nel febbraio 2007 ad una donna peruviana residente da anni a Napoli il cui racconto è l'oggetto prin- cipale di questo lavoro.
To be a migrant woman includes different meanings: it means to be a breadwinner woman for personal or familiar decision; it means to be wife of an husband who will join her in the arrival country dealing with all the uncertainities of the labor market; it means to be a mother that drags her sons to an unknown new country or that fights daily to keep in touch with them when they leave overseas; but above all it means to be a woman that deals day by day with the cultural negotiation and with those stereotypes usually related with migration, doing it for herself and in order to create a better relationship with the arrival society. All these aspects are part of the interview done in february 2007 to a peruvian woman that lives in Naples since many years now and that is the main object of this article.
Keywords: storie di vita, immigrazione latinoamericana, donna migrante, Napoli; life stories, latin american immigration, migrant woman, Naples.
Biodata: Maria Rossi è Dottore di Ricerca in Culture dei Paesi di Lingue Iberiche ed Ibero-americane presso l'Università degli Studi di Napoli l'Orientale. Attualmente è docente a contratto di Lingua Spagnola per il Dipartimento di Studi Letterari, Linguistici e Comparati presso la stessa Università. Principali campi di ricerca: migrazioni internazionali latinoamericane, letteratura e cultura ecuado- riana ([email protected]).
La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla.2
Introduzione
Nel febbraio 2007, durante una ricerca di campo durata all'in- circa un anno e dedicata all'analisi della presenza di migranti latino- americani a Napoli, ho avuto la possibilità di incontrare, conoscere e intervistare Maria,3 una signora peruviana che ha accettato di con- dividere con me e con il mio registratore la sua esperienza di donna migrante.
Maria è una donna che, a distanza di anni dalla sua migrazione, ha riflettuto sulla sua esperienza, ha vissuto le fasi salienti del cosid- detto "fenomeno migratorio" in Italia, ha costruito la sua famiglia a Napoli e continua a vivere la sua esperienza e ad arricchire la sua identità migrante quotidianamente. Nell'ormai lungo periodo di permanenza è passata dal vivere il distacco, lo smarrimento, la rinegoziazione culturale, fino a maturare la riflessione sulla sua con- dizione di migrante e su quella della collettività latinoamericana di cui fa parte.
Arrivata in Italia all'inizio degli anni Novanta con un viaggio che, come per tutti i migranti, ha segnato un momento di rottura e uno strappo netto rispetto al passato; un viaggio carico di aspetta- tive per il futuro e con il desiderio, comune ai più, di cumplir el obje- tivo, ovvero accumulare una piccola fortuna per poi poter tornare in patria, dopo quasi vent'anni risiede ancora a Napoli assieme al compagno e alla figlia ormai adolescente nata in Italia e in contra- sto con una madre a volte scomoda per l'esperienza che essa rap- presenta e per quel passato migrante da badante che ne ha segnato il percorso.
Conosco Maria nella fase iniziale della mia ricerca, quando sono ancora alle prese con la tessitura della rete di contatti da cui prende- rà corpo la ricerca stessa. Riesco a contattarla grazie alla mediazio- ne dei rappresentanti Anolf della sede napoletana con cui lei stessa collabora. Inizia la ricerca di campo e incontro Maria.
Maria, informatrice
In un saggio del 1985, Franco Ferrarotti afferma:
Il discorso storico va liberandosi del suo andamento creativo- artistico-individuale e cerca di darsi strumenti capaci di cogliere non solo e non tanto la vicenda diacronica [...] bensì mira a cogliere anche la prospettiva sincronica, ossia si allarga verso un concetto di esperienza storica come esperienza sociale, economica e culturale in senso lato.4
Ferrarotti sottolinea la necessaria apertura dell'approccio stori- co a settori e questioni ritenute per troppo tempo al margine, dichia- rando la loro importanza nel comprendere la "qualità" di una data vita storica e la necessaria convivenza e collaborazione tra storici e sociologi per una lettura integrata della storia stessa. D'accordo con quanto affermato dal sociologo italiano, tra i più accaniti sostenitori del recupero del método biográfico, degli strumenti qualitativi e del perfezionamento della tecnica delle storie di vita, la scelta del meto- do per la ricerca di campo è caduta sull'approccio qualitativo, pro- cedimento interpretativo delle scienze umane secondo il quale la relazione tra storia e ricerca è aperta e interattiva, basata sull'espe- rienza, sull'empirismo, sulle persone. E per il peso che l'esperienza individuale e umana avrebbe avuto sull'intera ricerca, l'approccio adottato è stato quello biográfico, attraverso il racconto di soggetti «indicati come rappresentanti di una certa realtà o significativi pro- prio per la particolarità del loro percorso esistenziale».5
All'interno del dibattito accademico non è univoco il signifí- cate e il valore attribuito all'approccio biográfico in questione. Ad una corrente positivista che individua nelle biografié potenzialitá analitiche di tipo quantitativo; che privilegia la resa oggettiva del- le informazioni per tracciare, a partire dalle esperienze personali, gli schemi delle strutture sociali più complesse, se ne contrappone un'altra, di carattere fenomenologico e antipositivista, secondo la quale l'unica realtà sociale conoscibile è il prodotto della narra- zione dell'individuo.6 Secondo i sostenitori di tale orientamento, lo strumento indispensabile della narrazione biográfica è il linguag- gio, non inteso -o non solo- come meccanicistico assemblaggio di elementi che costituiscono un enunciato o una frase, bensì come potente mezzo di comunicazione di un'esperienza tradotta e mo- dificata dall'individuo a partiré dalla sua identità socio-culturale. Non uno strumento neutrale dunque, ma intriso del vissuto della persona, delle sue competenze, del suo contesto e frutto della sua identità.
II método qualitativo in generale e quello biográfico in partico- lare non sono stati esenti da critiche riguardanti soprattutto la man- canza di scientificità dei dati raccolti. In risposta a cio è necessario affermare che la stretta relazione tra la storia di vita e il corso della vita in sé fa sì che qualunque storia di vita, per quanto possa essere modificata nelle intenzioni, resti comunque espressione di un de- terminato mondo storico e sociale. Inoltre, la struttura stessa dell'a- nalisi qualitativa, con le sue norme e le sue impostazioni, incasella la storia in una trama, alla cui costruzione può e deve intervenire il ricercatore creando una griglia dialogica che preveda sequenze coe- renti e rapporti di causa-effetto negli episodi narrati.
Lo strumento utilizzato è stato un questionario aperto o inter- vista in profondità di cui si è predisposta una traccia modellabile sulle esigenze e sui racconti dei protagonisti della ricerca; che fos- se diacronica e sincronica allo stesso tempo seguendo il concetto di Sayad di migrazione come fatto sociale totale;7 che cercasse di cogliere le sfumature del racconto migrante e fosse così mobile da poter tornare su ogni punto per approfondire e chiarire qualunque tema venisse toccato.
Si tratta di una situazione faccia a faccia, durante la quale si produ- ce una conversazione intima di scambio reciproco, nella quale l'in- formatore diventa l'estensione dei nostri sensi e assume l'identità di un componente del suo gruppo sociale. In questo interscambio si ricostruisce la realtà di un gruppo e gli intervistati diventano fonte di informazioni generali e parlano per conto di altri fornendo dati sui processi sociali e sulle convenzioni culturali.8
Ovvero una dinamica comunicativa tra intervistato e intervista- tore grazie alla quale prendono forma i significad e si ricostruisco- no i contesti, sebbene i suoi schemi non sempre siano chiaramente definibili. Durante l'intervista, infatti, entraño in gioco equilibri precari tra i due poli del sistema dialogico che dipendono dalle funzioni che essi ricoprono nell'atto comunicativo. Ricercatore il primo, (s)oggetto della ricerca il secondo, a caccia di notizie il pri- mo, informatore il secondo, entrambi con la possibilità di interferi- re sull'andamento dell'intervista: uno, il ricercatore, semplicemente con la sua presenza, o con qualunque accenno di commento, può modificare la direzione da far prendere all'intervista; l'altro, l'inter- vistato, stabilisce quale punto omettere e su quale insistere. Eppure entrambi fondamentali per concludere l'atto comunicativo.
Geertz ci aveva avvisati quando nel suo noto Interpretazione di cul- ture affermava che: «ciò che chiamiamo i nostri dati sono in realtà le nostre ricostruzioni delle ricostruzioni di altri su ciò che fanno loro e i loro compatrioti».9 Ed effettivamente, se la mia presenza ha po- tuto generare delle aspettative o delle interferenze sul corso dell'in- tervista, Maria ha contato, invece, su un livello di consapevolezza e di conoscenza del sé migrante e della collettività di appartenenza, derivante dalla sua attiva partecipazione all'associazionismo mi- grante napoletano che, in molti passaggi del racconto, l'ha resa piú una commentatrice dell'evento che sua protagonista. Ma è ancora una volta Geertz che viene in mio soccorso sostenendo, nello stesso testo, che, sebbene questo tipo di ricerca si basi su interpretazioni di interpretazioni, solo «una buona interpretazione [...] ci porta nel cuore di cui essa è l'interpretazione»,10 owero il suo significato.
Maria è diventata una delle mie fonti orali più importanti, testa di ponte per la creazione di nuovi contatti. Dunque Maria informa- trice privilegiata.
I capitoli di una storia al femminile
Appurato il valore delle interviste come strumento comunica- tivo e come mezzo della ricerca sociale grazie alle quali è possibile ricostruire la realtà sociale che si vuole analizzare penetrando, nel caso dei migranti, nei ruoli e nei rapporti che l'individuo intervista- to crea con il gruppo di riferimento o con la società d'arrivo, guar- dando all'intervista nel suo insieme (quindi come oralità, racconto e successiva trascrizione e lettura), ci si accorge che essa è anche una storia (un racconto) e che le sue funzioni di strumento di ricerca sociale e di racconto orale sono complementari.
Gome sostiene Renato Cavallaro,11 le storie raccontate con le interviste sono "storie", appartengono al mondo delle esperienze narrative, sono un "enunciato narrativo" per dirla con Genette,12 e quindi soggette ad un codice.
Il rapporto tra ricercatore e intervistato è la base da cui ha origine il discorso narrativo che è possibile solo nel momento in cui l'intervi- stato accetta di narrare la sua storia. A partire da questo accordo tra le parti, il dialogo che ne consegue mette in gioco un "io narrante" che ricorda, prende la parola, racconta, e un "tu" (il ricercatore) che ascolta, registra, guida le strategie della memoria e del racconto.
E come nel più classico schema d'analisi narratologica, dall'atto narrativo prende forma il suo significante (ovvero il racconto, il di- scorso, il testo narrativo) e il suo significato (quindi la storia, il conte- nuto narrativo); il ricercatore ne diventa destinatario e lettore men- tre l'intervistato racchiude in sé la funzione del protagonista e del narratore, assumendone, nei panni di quest'ultimo, anche il punto di vista (modo della narrazione).
In tal senso, all'interno della cornice narrativa rappresentata ap- punto dal nostro atto dialogico e caratterizzata dalla comune consa- pevolezza del valore e del significato che tale atto ha nel momento in cui è prodotto e che avrebbe sviluppato in seguito nell'ambito più generale della ricerca, inizia il racconto. Maria è narratrice e protagonista.
Il tempo della storia: da Lima a Napoli, da maestra a badante
La relazione di "durata" tra tempo del racconto e tempo del- la storia nella narrazione di Maria è tutta a favore della storia. In quasi due intense ore di conversazione l'intervistata racconta, con riassunti, ellissi, anacronie e pause, una storia che inizia ben prima del 1993, anno in cui decide di emigrare a causa di una condizione di oppressione familiäre, come Maria stessa la definisce.13 In effetti, accanto a cause strutturali di natura politico-economica che interes- savano il Perù negli anni Novanta,14 che l'intervistata pure menziona e che, dunque, risponderebbero ad un approccio tradizionalista dello studio delle migrazioni, Maria, quando spiega le ragioni che l'han- no spinta a migrare, parla di un'esigenza personale che confluisce, una volta arrivata in Italia, nel più ampio sistema di femminizzazione della migrazione,15 in particolar modo quella proveniente dall'area andina dell'America latina. Da tempo numerosi autori16 analizzano il ruolo centrale della famiglia nei sistemi migratori internazionali con- temporanei. All'interno dei nuclei familiari si elabora il progetto mi- gratorio e si prendono decisioni sulla tempistica, sulla destinazione e sulla persona che migrerà. Dunque i migranti, almeno nella maggior parte dei casi, non intraprendono questa nuova strada in un "vuo- to di relazioni sociali" ma, al contrario, la famiglia ricopre un ruolo determinante. Altre volte lo stesso nucleo familiare può incidere, ma in senso opposto, cioè rappresentando l'elemento di rottura e di con- flitto a cui opporsi per sfuggire a valori tradizionali, a uno stile di vita o ad una relazione familiäre opprimente che la donna (o il migrante in generale) non è più disposta a seguire. Questo è il caso di Maria.
Ho deciso di lasciare Lima, adesso lo posso dire in tutta sincerità, spinta sì da questioni economiche, però negli anni, col tempo, ho capito che era anche un allontanarmi dalla mia famiglia, come che me sentivo soffocata, me sentivo che loro avevano troppe aspetta- tive su di me.
Ho una sorella e un fratello, sono più grandi di me. Sono la più piccola. Ho perso mia madre quando ero ancora ragazza. E qua pure ho capito questa cosa, che dopo di quello mio padre non si è mai ripreso, è come se avesse avuto una depressione... e a mia sorella e a mio fratello hanno continuato a starme a me troppo addosso. G'è una differenza di età. lo con loro non è che sentivo questa cosa de... che me podevo confidare tanto con mia sorella, perché lei era 15 anni più grande di me e mio fratello 13. Molto più grandi, quindi come se io fossi quasi figlia unica, capito? Questo l'ho capito perché stando là, quando ho vissuto con mia sorella, que ya lavoraba, avevo studiato e lavoravo, sono andata per un poco a vivere con altre ragazze. Poi questo non funzionò, sono ritornata e io questo l'ho capito qua. Gome se avessi detto adesso me ne vado lontano lontano così loro non mi possono...17
Seguendo quella chimera che rincorrono molti migranti nel loro movimento verso un altrove quasi sconosciuto, presentato macchi- nosamente dal cinema e dalla televisione e descritto come la terra del futuro dai conoscenti già emigrati che diventano la rete di con- tatto nel paese d'arrivo, Maria è partita per l'Italia dove, ad aspet- tarla, non ha trovato la possibilità di combinare lavoro e formazione così come desiderava per migliorare la sua carriera di maestra né tantomeno un inserimento lavorativo calibrato sul suo precedente percorso di studio e lavoro, piuttosto, in risposta ad un'offerta di lavoro di nicchia e derivante dalle carenze del sistema del welfare italiano,18 un'uniforme e una casa, quella dei primi datori di lavoro in cui cominciare il suo percorso di badante.
Quando io sono venuta qua, non mi immaginavo che doveva lavorare chiusa in una casa, pensavo che era diverso. Per carità io questo lavoro lo rispetto e lo benedico perché ho potuto mangiare, non ho dovuto fare altre cose come devono fare altre persone. Io, ringraziando a Dio, non ho avuto questa sofferenza. Però digo che è molto difficile per una persona che ha fatto un altro tipo di lavoro, che ha avuto un altro stile di vita, tante cose e poi ritornare indietro. Invece se tu sei stato a lavorare là uguale, qua è meglio. È come se avesse salito un altro gradino, perché là comunque è diverso.
Certo mi lamento. Mi sono lamentata e tuttora mi lamento, però penso che per altre persone che ya hanno lavorato come domestici è più facile. Pensó che per loro la botta non è tanta come l'ho avuta io. G'è una cosa che sempre me ricordo. La prima volta che sono andata a lavorare che mi sono dovuta mettere il grembiule. Perché quella divisa per me era una cosa... quella è la cosa che sempre mi ricordo. Sai che mi ricordo? Che mi guardai e mi misi a pian- gere. Mi misi a piangere. E, nel tempo, lavorando in diversi posti, ci sono delle persone che ci tengono a questo, però quando io ho avuto la opportunità di non mettermelo, che lo dicevo proprio «non me lo voglio mettere, non mi ci sentó bene», io l'ho fatto. E meno male che ho trovato delle persone che mi hanno detto si. Pero per determinate riunioni, qualcosa che me l'ho dovuto mettere, ha stato pesante.
Sebbene negli ultimi anni il trend migratorio al femminile si stia modificando, soprattutto come conseguenza dei movimenti di ricongiungimento familiare, la presenza consistente di donne lati- noamericane19 si sostanzia ancora nella maggiore visibilità all'in- terno del tessuto sociale della società d'arrivo che deriva dal preva- lente inserimento lavorativo nel settore dell'occupazione domestica o dell'assistenzialismo. Attorno a questo importante serbatoio oc- cupazionale (soprattutto a partiré dagli anni Novanta) si è creata una stratificazione su base étnica brutto dello stereotipo secondo cui tutte le donne latinoamericane sarebbero "predisposte" alla cura della casa e all'assistenza degli anziani per il loro carattere amabile (a cui si affianca una religione condivisa e una lingua comprensibi- le). Indubbiamente, come afferma Lagomarsino, la presenza di una serie di fattori (cultura, lingua e religione) ha fatto si che le famiglie autoctone percepissero le donne latinoamericane come più simili e quindi più adeguate a lavorare nelle loro case. Se a ciò si asso- cia che una presenza femminile e occulta (nella maggior parte dei casi si tratta di lavoro nero) suscita un minor grado di allarmismo sociale, si spiega ancor più come sia stato possibile identificare la "predisposizione" per il lavoro domestico con le donne latinoame- ricane, tanto da far comunemente considerare questo inserimento lavorativo non più come una scelta obbligata ma come una sor- ta di "vocazione culturale", legata all'immagine tradizionale delle donne latinoamericane descritte come amorevoli, dolci e servili.20 E dunque se questo è il ruolo che la società riserva loro, in assenza di altre possibilità, Maria sponsorizza l'inclinazione sua e delle al- tre latinoamericane al ruolo assegnatole, a scapito di immigrate di altra origine, sebbene questo significhi da una parte un inserimento lavorativo al ribasso (rispetto al lavoro svolto in passato) e dall'altra un livellamento di appartenenza di classe che poggia le sue fonda- menta sul lavoro svolto nel paese d'arrivo e non certamente sulla classe sociale d'appartenenza prima della migrazione.
Almeno mi sono fatta un'idea qua, in questi anni. Le donne latinoamericane hanno una capacità di voler bene alle persone, soprattutto siamo molto materne. Questa è una cosa, abbiamo tanti difetti, però questa è una cosa che io... no perché lo senta io, sino perché vedo negli altri. Allora io penso che queste latino- americane sono una risorsa per le famiglie italiane. Perché si tu vedrai che ci cercano per questo. Caratterialmente e poi anche culturalmente noi siamo molto materne.
[...] Anche nel lavoro con i bambini, anche soprattutto gli uomi- ni, perché non siamo conflittivi, cerchiamo sempre di... perché siccome teniamo tanto alla famiglia, poi alla fine dove tu lavori, diventa, tra virgolette, la tua famiglia. Uno sa dei problemi loro e loro riescono... perché noi parliamo. Ci sono altre etnie che sono molto più chiuse. Invece noi latinoamericani, almeno noi peru- viani, siamo più aperti, ci apriamo. È una questione caratteriale, di cultura.
Le pause della storia: da migrante a compagna e madre
Il compagno di Maria l'ha raggiunta dopo soli pochi mesi dal suo arrivo in Italia (lei è arrivata a marzo e lui a maggio dello stesso anno) ed è a partire da questa fase del racconto, quando si tocca la sfera privata della migrazione, che emergono le corde più delicate della sua avventura, perché il "ruolo" di migrante passa in secondo piano rispetto a quello di donna e madre.
Allora lui è venuto a maggio. Io quando ho parlato con lui, gli dissi «Tu aspettami, io torno tra due anni» e lui mi disse «No, perché tra due anni o tu non mi trovi, o io non ti trovo, così vediamo come facciamo». Invece lui ha fatto tutto. Nel fondo io questo penso che io l'ho fatto apposta, come se io avessi detto "Adesso voglio vedere cosa fai tu!". Nel tempo io ho capito, non gliel'ho detto a lui, ni se lo dirò mai, però è come si yo avessi manipolato.
Le analisi dei movimenti migratori latinoamericani, soprattutto quelli europei, hanno ampliamente dimostrato come ad una donna primo migrante, da cui dipende il sostentamento economico della famiglia rimasta in patria (almeno fino a quando il percorso mi- gratorio lo permetta o le esigenze del migrante non cambino) e che riesce ad acquisire potere economico e decisionale nel paese d'arrivo, nella maggior parte dei casi fa seguito il ricongiungimento familiare21 (al contrario rispetto agli schemi classici delle migrazioni del primo Novecento quando erano le donne a ricongiungersi) che spesso si trasforma in fonte di tensione e di riorganizzazione dei ruoli all'interno del núcleo familiare. Con la migrazione la famiglia o la coppia subiscono un processo di alterazione e di profondi cam- biamenti. Gli individui devono imparare a vivere di nuovo assieme, quasi a relazionarsi con persone "nuove" che, nel frattempo, hanno assunto un ruolo nella società d'arrivo e acquisito un "potere" pri- ma loro sconosciuto. È necessario ricostruire il rapporto e questo diventa più evidente quando è la donna colei che "domina" nel nuovo contesto.
La storia di Maria non si discosta molto da questo modello: «Allora mio marito, lui è ingegnere metallurgico, quindi per lui ha stado molto difficile». E lo è stato perché in una città come Napoli, se le donne latinoamericane trovano facilmente lavoro come col- laboratrici domestiche, non si può dire lo stesso degli uomini che, secondo un'antica arte partenopea, si "arrangiano", scendono a compromessi per lavori saltuari e di poco conto; spesso si muovono nel sommerso; quasi mai (e non di certo nei primi anni dell'espe- rienza migratoria) riescono ad uscire dalla precarietà lavorativa. In tal modo si mettono sotto tensione gli assetti familiari.
Te dico la verità, mi ha creato molti problemi con mio marito. Questo de uscire di casa, a fare altre cose, e non soltanto il lavoro che facevo di casa a casa. Però lo sto facendo, in tutta questa, como te posso dire, questo percorso di appropriazione mia perché ho capito che per lui era molto bello, era tranquillo quando io andavo de casa a un'altra casa, non avevo a che fare con nessuna persona, e così. Allora ho riscoperto che, facendo tante altre cose, lui è molto geloso.
E la tensione è aumentata quando è nata la loro prima e unica figlia (llenne al momento dell'intervista). Contraria ad ogni forma di maternità transnazionale, tanto da affermare: «Consigliano di la- sciare il figlio per andaré a lavorare. No, io le dico. Cioè sono sempre di questa idea: tu le potrai mandare una montagna di soldi, però quell'amore che tu devi dare, quella presenza per tuo figlio non vale tutto l'oro del mondo», e incerta sul futuro da voler regalare alla fi- glia, chiede al compagno di rientrare: «quando ho avuto la bambina, io gli chiesi: "Torniamo là?" e lui disse "No, io non posso tornare così..." in spagnolo si dice fracasado, fallito. Perché non ha fatto soldi».
E forse, in un momento di debolezza e di stanchezza, sarebbe ripartita da sola, anche senza di lui, pur di ritrovare la sensazione di stabilità data dall'ambiente familiäre. Ma a quel punto la figlia è diventata la ragione del suo mancato rientro. Nell'indecisione tra una patria lontana a cui la figlia non appartiene, identificata pero come lo spazio dei valori dove potrebbe godere dell'affetto di una rete familiäre assente in Italia, e una certa sicurezza materiale (con- sumistica) con speranze per il futuro attribuita al paese d'arrivo, Maria decide di lasciare che sia la figlia a scegliere per la sua vita. E la sua, insiste Maria, sarà una scelta consapevole, perché conscia dei due mondi di cui fa parte, grazie ai continui viaggi che la madre le fa fare nel lontano Perù e al bagaglio culturale che le sue origini familiari implicano (a partiré da quella lingua -lo spagnolo- che la ragazza rifiuta, nel tentativo di allontanare la diversitá che la madre rappresenta, un peso ancora troppo ingombrante per la sua età) e grazie poi alla diretta conoscenza delle dinamiche e conseguenze dell'esperienza migratoria.
Addirittura io pensavo che, l'ho pensato «Io rimango», e poi un'al- tra volta sicuramente lui verrà dietro di noi. Però sono stata onesta, perché ho detto io non posso fare cosí. Quando l'ho salutato, gli ho detto «Senti, io vado», lui mi ha capito. Allora mi chiamava tutti i giorni. E poi non le podevo fare questo a mia figlia, ho detto "basta". Si per me fosse stato, io sarei rimasta lì. Anche senza di lui. Questa è una cosa interiore mia, però ho una bambina, lui è un bravo, un buon papà. Non vorrei continuare a manipolare la sua vita. Vorrei che sia lui a decidere.
Io la porto in tutte le parti. Per esempio pure che sta vicino a me, che è piccola, però anche lei vede. Così come lei mi ha visto che sono andata a pulire i pavimenti, lei mi ha visto che sono andata a vedere i bambini, lei mi ha visto che sono andata a qualche riunione dove uno deve partecipare, deve parlare. Andiamo in chiesa, andia- mo da tutte le parti. Io penso che più di questo non le posso dare.
Lo spazio della storia: Napoli mediatrice culturale
Se lo spazio del discorso è una piccola stanza dell'ufficio Anolf di Napoli dove incontro Maria, quello della storia che mi racconta è ampio, ingloba due mondi, il paese di partenza e quello d'arrivo. II primo, il continente americano, è la maravilla per eccellenza dell'im- maginario europeo, meta di viaggi in cerca di fortuna di migliaia di nostri emigrati, divenuto poi spazio da cui fuggire, ma sempre ripensato da chi lo abbandona come contenitore di valori e terra a cui far ritorno; il secondo, l'Italia, carico di aspettative e funzionale per la storia perché da esso dipende lo sviluppo dell'intreccio, la psi- cología dei protagonisti e, in molti casi, il lieto fine della storia stessa. Se al primo la mia informatrice associa ormai solo ricordi, è a quello d'arrivo a cui dedica la maggior parte delle sue parole e riflessioni.
Nello scenario migratorio campano, Napoli rappresenta la città- porta,22 lo spazio urbano in cui si concentrano i gruppi e le comunità più numerose di immigrati, in cui si mescolano e scontrano uomini e donne portatori di culture diverse. In tal senso Napoli è il prodotto di un lungo processo (ancora in corso) di sovrapposizioni di popoli diversi che, nel corso del tempo, hanno dominato e caratterizzato la città, lasciando tracce della loro presenza nell'architettura, nei suo- ni, nelle tradizioni, in una certa abitudine all'altro e alla diversitá.
Per le caratteristiche endogene della città, per quella sua parte ambigua, indiziaria e duplice, ovvero per il mondo sommerso, il- legale e criminale che spesso nasconde, Napoli continua ad essere considerata da molti immigrati una zona di transito verso un nord che affascina per l'immagine di sicurezza e regolaritá che offre.
Ma non da Maria. Lei sente di aver ancorato le sue radici mi- granti a Napoli. È dove vuole continuare a vivere e a far crescere la sua famiglia.
Napoli l'ho fatto mió. lo questa è la cosa che lotto, perché anch'io ho avuto questa voglia [di trasferirsi al Nord], anzi ho fatto pure appuntamenti di lavoro, però dico basta. E non è che la vita tu puoi dire «e adesso cambiando di città devo riiniziare daccapo». No, dico basta, io l'ho fatto una volta, o me ne torno là in Perú o resto qui. Perché Napoli la sento e quindi digo che non si fa. [...] Anche per mia figlia. Io lo posso capire, io e mio marito lo possiamo capire, mia figlia no. Lei qua ha una memoria di quello che sta vivendo qua. Non voglio farle questo.
E se questa potrebbe sembrare una scelta criticabile per le diffi- coltà del vivere a Napoli, Maria replica sottolineando la labilità del concetto di stabilità (e non è forse questo uno dei pilastri della tra- dizione popolare napoletana? Quel modus vivendi estremamente fata- lista che attanaglia chiunque vi si stabilisca?) che riguarda non solo se stessa in quanto immigrata, ma anche i locali, a fronte delle di- sagevoli condizioni che, storicamente e in tempi recenti, colpiscono la città. Eppure, a prescindere dalle difficoltà, e al di là dell'aspetto meramente insediativo all'interno del tessuto urbano,23 Napoli per la mia informatrice è diventata un luogo antropologico relazionale e storico (utilizzando le definizioni di Augé24). È "relazionale" perché è lo spazio dove ha ricostruito il suo ambiente sociale, nel quale ha riorganizzato i rapporti umani tanto all'interno del proprio núcleo familiare, quanto a livello interpersonale con gli altri componenti della "comunità" latinoamericana dalla quale si è fatta accogliere ma che, alio stesso tempo, sta contribuendo a sviluppare e solidifi- care con il suo lavoro e la sua partecipazione; ed è "storico" nella misura in cui, coniugando l'identificazione personale e collettiva con il posto e il processo di relazionalità che ne consegue, riesce ormai a riconoscervi riferimenti certi che concorrono a solidificare il suo processo di appartenenza al luogo.
Uno degli elementi che maggiormente influisce nel processo di identificazione con il territorio è la pratica associazionista di cui molti migranti sono protagonisti, fondamentale non solo per l'ap- porto che offre nella prima fase di insediamento dei nuovi arrivati, ma anche perché le associazioni migranti diventano strumento di mediazione con le istituzioni locali o con gli altri gruppi di immi- grati in un percorso di auto-promozione e conoscenza reciproca; quindi ponte integrativo con le società d'arrivo. Maria è molto attiva nell'associazionismo peruviano (e latinoamericano) napoletano, con tutte le difficoltá che questa partecipazione puo implicare, in termi- ni, per esempio, di relazioni interassociative per i diversi approcci adottati dai partecipanti all'organizzazione dell'associazione stessa, o più semplicemente in termini di tempo che, a volte, ha la sensazio- ne di sottrarre alla famiglia prendendo parte alle riunioni. Tuttavia la partecipazione e l'esistenza stessa dell'associazione (Associazione Culturale Tahuantinsuyo25) è importante, come afferma Maria, per- ché essa segna il territorio, permette alla comunità latinoamericana di essere visibile (con manifestazioni religiose e non, con l'occupa- zione di spazi associativi -una chiesa in particolare sita nel cuore storico della città-, nel rapporto con le istituzioni) e diventa spazio di riferimento, impregnato di un significato che facilita il percorso di rinegoziazione identitaria del sé migrante anche all'interno di una collettività tanto eterogenea come quella latinoamericana che, inve- ce, nel caso napoletano, dichiara una vocazione comunitaria.
Infine lo spazio urbano é, ancora secondo Maria, sopra ogni al- tra valenza, lo spazio dell'incontro con l'altro, con l'alterità, dell'in- contro tra "noi" e "loro", fonte di tensione ma anche di avvicina- mento, lo spazio dove si moltiplicano le possibilità di costruire nuove identità complesse che non si basino più sull'esclusione, ma che lascino spazio a nuovi modelli di convivenza. Si fa evidentemente riferimento al tanto complesso concetto di integrazione come movi- mento dialogico in cui sono chiamati a partecipare in modo parita- rio immigrati e società d'arrivo, sul quale Maria dice:
Dipende della generazione. Io subisco fino ad adesso tante, chia- miamole, momenti di disprezzo, razzismo, da una determinata generazione, quelli più anziani, quelli che non sono usciti, che non conoscono altre cose; invece della tua generazione, o soprattutto quelli che studiano, è diverso. Io su questo sono ottimista, sono molto ottimista, cioè sono ottimista quando vedo che la gioventù studia, quelli di un determinato strato sociale, l'educazione in generale, riescono a farlo. Invece gli altri no.
Conclusioni
Le parole di Maria scivolano veloci nelle due ore di intervista, al- ternando ricordi, considerazioni e spazi aperti dedicati a domande e speranze per il futuro e io, cadendo nella trappola dell'emotività, mi lascio coinvolgere da tutto ciò che mi racconta. È la prima intervista del mio progetto di ricerca e tutti i racconti di Maria mi sembrano un regalo.
Solo più tardi, una volta trascritte le sue parole e nella fase suc- cessiva di rilettura, si palesano le sfumature, che non riguardano più solo gli episodi della storia. Si tratta di riflessioni vive, che dimostra- no il personale grado di analisi e consapevolezza raggiunto da Maria sulla sua esperienza migrante; considerazioni che attestano quanto ogni racconto sia impregnato del presente, di ciò che la persona è diventata e delle esperienze che ha vissuto attraverso le quali si stabi- lisce la prospettiva con cui rileggere il proprio passato e raccontarlo.
In questo senso per Maria è stato determinante l'incontro con i responsabili dell'Anolf, con cui collabora e con i quali affronta la questione migratoria non più solo come migrante in sé. Grazie alla partecipazione alle iniziative del centro, alle riunioni e al confronto, ha analizzato la sua storia, gettando le basi per il recupero della sua identità. Qui tutta l'importanza della memoria come processo sociale;26 della memoria individuale come necessariamente inserita in un contesto sociale all'interno del quale operare una rielaborazio- ne del passato alla luce del presente.
Maria ha lavorato molto sulla sua identità migrante, inserita tra due mondi e da entrambi condizionata. E ha riflettuto sul suo passato, riuscendo a delineare con maggiore chiarezza i contorni del suo essere donna peruviana e migrante. A proposito dell'essere donna peruviana, ha ricostruito un albero genealogico dalla riven- dicata identità meticcia (nel più classico schema sociale dei paesi andini) costruito e imposto in epoca coloniale e oggi pilastro delle società di quei paesi, sebbene ancora oggetto di classificazione so- ciale e di potenziali discriminazioni. In paesi come quelli andini, la discriminazione è un tratto coloniale che continua a caratterizzare le gerarchie e le disuguaglianze; è una condizione con cui convivere o da cui fuggire. Balbuena Palacio, a tal proposito, si chiede quante possibilità di blanquearse dia all'individuo la migrazione verso gli Sta- ti Uniti (principale meta d'arrivo dei Aussi latinoamericani) o verso l'Europa.27 Blanquearse, ovvero schiarirsi, avvicinarsi al bianco (quello per antonomasia cioè l'europeo), non è evidentemente un processo anatómico, piuttosto socioculturale. Indica l'esigenza di uscire dal retaggio dei dominati, sentirsi liberi da schemi culturali storicamen- te imposti, essere autonomi. Ed è quello che Maria e altre donne con gli stessi tratti hanno tentato di fare: allontanarsi dal passato di do- minazione (storica e familiäre) per iniziare una nuova vita e ritrovare e rivalorizzare solo in un secondo momento la propria origine cul- turale, grazie all'autonomia acquisita nel nuovo paese. In tal senso va letto anche il superamento dell'inferiorizzazione storica che il suo aspetto le imponeva e che oggi lei rivendica come eredità culturale.
Io sono meticcia. Nei miei familiari ci sono spagnoli, discendenti spagnoli, poi mulatti... guarda mi stai facendo una domanda e mi viene la pelle d'oca perché questo me raccontaban... per esem- pio mia nonna, la madre di mio padre era mulatta, perché la sua mamma era nera e il padre era bianco, cioè spagnolo. Mia nonna era lo que se chiama chola.28 Quindi mio padre era più scuro di me. Con i capelli ricci. Mia mamma aveva i capelli lisci lisci e molto bianca, con i tratti più fini. Io per esempio, il mio naso è proprio peruviano, non è neanche per esempio nero, no, è proprio peruviano. Io c'ho un orgoglio nel senso che so... stando qua, e avendo io studiato, sono molto fiera di queste cose che mi hanno tramandato. Gome se l'avessi capito qua. E una cosa molto bella che io qua ho riscoperto, di cui ho parlato pure con mio marito e se lo diciamo pure alla nostra bambina.
Anche sul suo essere donna (con una formazione da educatrice e una professionalità) Maria ha portato avanti un percorso di recu- pero. Si è riappropriata di una parte della sua vita passata che la migrazione le aveva fatto accantonare, per un senso di inadegua- tezza e inferiorità che alcune situazioni e contesti della nuova realtà le avevano trasmesso. L'immagine della donna latinoamericana che lavora nell'assistenza domestica corrisponde ad una consolidata co- struzione sociale, frutto dell'identità femminile imposta sia nel paese d'arrivo che in quello di partenza. L'identitá della donna andina che ruota attorno all'idea dominante di individuo che vive per gli altri e di riflesso degli altri (famiglia, compagno o marito), il cui ruolo fondamentale si sostanzia nelle attività di casalinga e madre (in pa- tria) o di collaboratrice domestica (nel paese d'arrivo) è diventata nel tempo tanto predominante da soalzare nell'immaginario collettivo e sottacere in quello individuale della migrante qualunque altra forma di rappresentazione. È solo la riappropriazione del sé, frutto di au- tonomia, riflessione e autostima che permette alla donna di romperé le barriere identitarie imposte.
Per Maria non è stata l'esperienza migratoria in sé a produrre cambiamenti identitari, piuttosto l'effetto che la costruzione iden- titaria subita dall'altro ha avuto sulla sua soggettivitá di donna-mi- grante. Essere classificata come "donna latinoamericana" (con tutto ció che di dequalificante esso comporta e finiré con l'identificarsi con esso) ha avviato un processo complesso che in letteratura viene definito "crisi".29 A questa crisi avrebbe potuto reagire nasconden- dosi (quindi uscendo poco di casa, stando spesso con locali o cam- biando le proprie abitudini per assimilarsi alla nuova società), con la negazione (per spostare l'attenzione dalla questione e darle meno importanza) o muovendo la classificazione negativa su altri gruppi o altre donne e dunque allontanandola da sé. E probabilmente ha attraversato ognuna di queste fasi, fino a quando è stata costretta a prendere una posizione, a reagire e a riconsiderare il suo vissuto e il suo presente.
La scelta non è stata compiuta tra i due poli opposti, ovvero can- cellare i vecchi tratti identitari o riaffermarli solo come mezzo per ottenere visibilità, piuttosto Maria ha lavorato per capire come far confluiré in una nuova sé le esperienze della migrazione e la propria eredità culturale. Questo lungo processo l'ha portata a ricostruirsi come donna che oltre ad essere latinoamericana e andina (cosa che ha "scoperto" in Italia per effetto degli occhi e dei commenti dei locali su di lei) è anche una collaboratrice domestica (lavoro che non faceva in Perú), con un compagno e una figlia (quindi convivente e madre, stati che nel paese d'arrivo e in quello di partenza implicano letture diverse) e figura fortemente coinvolta nell'associazionismo.
Si, ho studiato e lavorato. Sono maestra. Adesso dico "sono" maestra, perché prima dicevo "ero maestra". Adesso dico "sono" perché lo sentó. Venendo qua, e lavorando de... in lavori servili, e facendo altri tipi di lavori... uno li perde. Come se in questi anni mi sono riappropriata un'altra volta della mia identità. E te lo dico, io dicevo sempre "ero maestra", adesso non lo dico più. Adesso dico "sono maestra".
Maria ha percorso molteplici vie identitarie, fatte di contraddi- zioni e di ricerca, di quelle che costruiscono e disfano l'immagine che una ha di sé come donna migrante, fino ad arrivare al recupero del suo passato in equilibrio con il presente.
Finisce l'intervista e quando sto per ringraziarla, mi anticipa ed è lei che ringrazia me perché, mi dice, sono questi momenti di rifles- sione che le ricordano chi è, qual è stato il suo percorso e qual è la sua identità.
G 'è una frase che ho fatta mia, mi piace molto leggere, es una frase che ha detto Gabriel García Márquez in una sua opera, Vivir para contarla, allora dice: «la vita non è quella che se ha vissuto, sino quella che se recorda». Allora io questo vorrei... vorrei riappro- priarme de tante cose, che ho perso in questi anni, che sono con- sapevole di questo, però non è che le ho perso del tutto, sino che me le devo riappropriare in un'altra lingua, in un altro contesto.
La narrazione rappresenta la possibilità che il soggetto ha di or- dinare e attribuire senso alla realtà attraverso una lettura a posterio- ri. La storia di vita, cosí come l'ha raccontata Maria, è una storia che si definisce tale nel momento in cui viene raccontata e prodotta attraverso un atto narrativo. Raccontare diventa un modo per ri- flettere su se stessi, sulle esperienze che hanno costruito il proprio percorso di vita, sul loro significato.
1 La prima versione di questo articolo è stata presentata nelle giornate del 2 Congresso AREIA America Latina-Europa: (auto)biografie migranti tra oralità, scrittura e rappresentazioni, Roma, Université di Roma Tre, 29-31 ottobre 2012.
2 Gabriel García Márquez, Vivere per raccontarla, tr. it. Milano, Mondadori, 2005.
3 Ho intervistato Maria il 9 febbraio 2007, presso la sede napoletana dell'Anolf (Associazione Nazionale Oltre le Frontiere), ente che promuove l'uguaglianza dei diritti e dei doveri dei migranti presentí sul territorio oíFrendo loro informazioni e consulenze e intervenendo a livello di associativismo, iniziative politiche e sociali, mediazione con le istituzioni locali e tutela legale dei migranti. I responsabili napoletani dell'Anolf, precedentemente contattati, hanno reso possibile l'incontro con Maria, allora una loro collaboratrice, metiendo a disposizione una delle stanze della sede per l'intervista, awenuta prima che Maria iniziasse il suo turno di volontariato nel centro e durata 1 ora e 40 minuti.
4 Franco Ferrarotti, Osservazioni preliminari su ricerca storica, biografia e analisi sociológica, in Maria I. Macioti (a cura di), Biografia, storia e società, Napoli, Liguori, 1985, p. 53.
5 Elisabetta Siciliano, Approccio biográfico, supporto metodologico su cd del volume di Alberto Melucci, Verso una sociología nfiessiva, Bologna, il Mulino, 1998.
6 Piergiorgio Corbetta, Metodologia e tecniche della ricerca sociale, Bologna, il Mulino, 1999.
7 Abdelmalek Sayad, La doppia assenza: dalle illusioni dell'emigrato alle sofferenze dell'immigrato, tr. it. Milano, Raffaello Cortina, 2002, p. 9.
8 Rául Eduardo López Estrada, Jean Pierre Deslauriers, La entrevista cualitativa como técnica para la investigación en Trabajo Social, «Margen», 2011, n. 61, p. 2, la traduzione è mia.
9 Clifford Geertz, Interpretazione di culture, tr. it. Bologna, il Mulino, 1998, p. 16.
10 Ibidem, p. 27.
11 Renato Cavallaro, Sociología e storie di vita: «il testo», «il tempo» e lo «spazio», in Macioti (a cura di), Biografia, storia e società, pp. 57-72.
12 Gérard Genette, Figure III. Discorso del racconto, tr. it. Torino, Einaudi, 2006.
13 La scelta di migrare in Italia, e in particolar modo a Napoli, non è stata del tutto casuale. Non avendo avuto precedenti esperienze migratorie, Maria si affidô ai consigli di un'amica (con cui aveva condiviso gli studi in pedagogía), la cui famiglia viveva a Napoli da tempo. Il primo viaggio lo intraprese nel 1992, come turista. Rientrata a Lima, decise di ripartire l'anno successivo, stabilendosi in Italia prima senza permesso di soggiorno, poi regolarizzando la sua posizione con la sanatoria del 1993 che permise agli immigrati irregolari ma impiegati di ottenere un permesso di soggiorno temporaneo per lavoro.
14 Tra le motivazioni strutturali che hanno fomentato la migrazione dal Perù negli ultimi decenni è importante menzionare la cronica debolezza economica e política del paese, le stratificazioni storiche in classi sociali rígidamente connesse al colore della pelle e alla geografía del territorio, la presenza diffusa della violenza e l'ineguale distribuzione del reddito. Con particolare riferimento al decennio 80-90, Tamagno parla di una grave crisi di violenza politica, sociale ed economica a cui fa seguito, negli anni successivi, una crisi di credibilità politica generata dal mancato adempimento delle promesse del governo sulla crescita. Cfr. Teófilo Altamirano, Exodo. Peruanos en el exterior, Lima, Pontificia Universidad Católica del Perú, 1992; Carla Tamagno, "Entre acá y allá". Vidas transnacionales y desarrollo de Peruanos entre Italia y Perú, Wageningen, Wageningen Universiteit, 2003.
15 Si veda Mirjana Morokvásic, Birds of Passage are also Women, «International Migration Review», 18, 1984, n. 4, pp. 886-907; Corrado Bonifazi, Angela Ferruzza, Mujeres latinoamericanas en Italia: una nueva realidad del sistema de migraciones internacionales, «Estudios Migratorios Latinoamericanos», 1996, n. 32, pp.169- 176; Ana García-Mina, José Carrasco (coords.), Cuestiones de género en el fenómeno de las migraciones, Madrid, Universidad Pontificia Comillas, 2002; Patricia Balbuena Palacio, Feminización de las migraciones, in Programa Andino de Derechos Humanos (ed), Globalización, migración y derechos humanos, Quito, Universidad Andina Simón Bolívar, Unión Europea, COSUDE, Ed. Abya-Yala, 2004, pp. 15-24; Patricia Cortés Castellanos, Mujeres migrantes de América Latina y el Caribe: derechos humanos, mitos y duras realidades, Santiago de Chile, CELADE, 2005; Claudia Pedone, Relazioni di genere e catene familiari ecuadoriane nel contesto migratorio internazionale, in Maurizio Ambrosini, Luca Queirolo Palmas (a cura di), I Latinos alla scoperta dellEuropa. Nuove migrazioni e spazi di cittadinanza, Milano, Franco Angeli, 2005, pp. 94-110.
16 Cfr. Graziella Favaro, Mara Tognetti Bordogna, Donne dal mondo. Strategie migratorie al femminile, Milano, Guerini Associati, 1991; Hania Zlotnik, Migration and family: the female perspective, «Asian and Pacific Migrationjournal», 1995, n. 2-3, pp. 253-271; Maurizio Ambrosini, Sociologia delle migrazioni, Bologna, il Mulino, 2005; Francesca Lagomarsino, ¿Cuál es la relación entre familia y migración? El caso de las familias de emigrantes ecuatorianos en Génova, in Gioconda Herrera, María Cristina Carrillo, Alicia Torres (coords.), La migración ecuatoriana. Transnacionalismo, redes e identidades, Quito, Flasco-Plan Migración, Comunicación y Desarrollo, 2005, pp. 335-358; Francesca Lagomarsino, Esodi e approdi di genere. Famiglie transnazionali e nuove migrazioni dallEcuador, Milano, Franco Angeli, 2006; Valentina Pierucci, Le migrazioni andine: storia e compositions ddflussi, in Barbara Ghiringhelli, Sergio Marelli (a cura di), La famiglia transnationale 3. Dalle Ande agli Appennini: contesti di partenza e migrazioni, Roma, Carocci, 2011, pp. 55-68.
17 L'intervista dell'informatrice, cosí come le altre che compongono la ricerca, è stata trascritta senza interventi consistenti dal punto di vista linguistico, lasciando inalterate le parti in lingua madre degli intervistati. Tale scelta deriva dalla convinzione che anche la lingua usata è elemento chiarificatore nel processo di comprensione del percorso migratorio.
18 Maurizio Ambrosini, Un'altra globalizz^ZÍone. La sfida dette migrazioni internazionali, Bologna, il Mulino, 2008.
19 Secondo i dati ISTAT al 31 dicembre del 2010, la presenza latinoamericana in Italia sarebbe così distribuita per sesso: gli uomini rappresentano il 37,3% del totale, mentre le donne il 62,6%. Al momento non è stato possibile rilevare informazioni statistiche più recenti a causa della mancata pubblicazione dei dati acquisiti con il Censimento del 2011, <www.demo.istat.it> (06/13). In Spagna, principale meta dei latinoamericani in Europa, ormai da qualche anno si assiste ad un sempre maggiore equilibrio di genere. Laura Oso lo attribuisce a diversi fattori: la firma di accordi per quote di manodopera destínate a lavori tradizionalmente maschili (per es. agricoltura, edilizia) e una maggiore richiesta di riunificazioni familiari verificatasi prima dell'entrata in vigore dei visti per Ecuador e Colombia (2002 e 2003). Laura Oso Casas, La inserción laboral de la población latinoamericana en España: el protagonismo de las mujeres, in Isabel Yépez del Castillo, Gioconda Herrera (coordsi),Nuevas migraciones latinoamericanas a Europa. Balances y desafíos, Quito, Flasco- Obreal-Ucl-Eb, 2007, pp. 453-479.
20 Francesca Lagomarsino, Mujeres emigrantes latinoamericanas y mercado del trabajo: el ejemplo de las ecuatorianas en Génova, in Yépez del Castillo, Herrera (coords.), Nuevas migraciones latinoamericanas a Europa, pp. 481-506.
21 Cfr. MariaRossfNapoli barrio latino, Salerno, Arcoiris, 2011.
22 Ancora secondo i dati statistici dell'Istat al 31 dicembre 2010, Napoli, di tutte le province campane, è quella che presenta la maggiore incidenza di popolazione straniera residente (il 46,2% del totale della popolazione migrante regionale), al cui interno i latinoamericani costituiscono un gruppo poco numeroso (1'8,3%) maggiormente rappresentato da dominicani e peruviani, <www.demo. istat.it> (06/13). La storia migratoria dei latinoamericani in Campania segue due percorsi: il primo risalente agli anni 70 e caratterizzato dall'arrivo quasi esclusivo di donne (dominicane, cubane, colombiane in prevalenza) giunte come collaboratrici domestiche presso famiglie della medio-alta borghesia dei grandi centri urbani; il secondo, ben più cospicuo e sviluppatosi tra la fine degli anni 80 e nel decennio successivo fino ai giorni nostri, vede il consolidarsi della presenza femminile, con un parallelo arrivo -sebbene meno consistente- di uomini, provenienti quasi esclusivamente dall'area andina. In questo caso le donne sono ancora prevalentemente impiegate nel lavoro domestico e nella cura agli anziani, mentre gli uomini fanno capo ad un movimento di ricongiungimento familiare. Giustina Orientale Caputo (a cura di), Gli immigrati in Campania. Evoluzione della presenza, inserimento lavorativo e processi di stabilizzazione, Milano, Franco Angeli, 2007.
23 La distribuzione abitativa degli immigrati a Napoli è molto eterogenea tanto da coinvolgere sia zone centrali della città (normalmente escluse da dinamiche migratorie) che quartieri periferici. Cfr. Fabio Amato, Pasquale Coppola (a cura di), Da migranti ad abitanti. Gli spazi insediativi degli stranieri nell'area metropolitana di Napoli, Napoli, Guida, 2009.
24 Marc Augé, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, tr. it. Milano, Elèuthera, 1993.
25 Fondata nel 2000, l'Associazione Culturale Tahuantinsuyo è fuñica tra quelle latinoamericane inserita nell'elenco delle associazioni di e per immigrati regístrate all'albo regionale previsto dalla L. 33/1994 della Regione Campania, <www.regione.campania.it > (07/13).
26 Cfr. Maurice Halbwachs, I quadri sociali della memoria, tr. it. Napoli-Los Angeles, Ipermedium, 1997.
27 Balbuena Palacio, Feminización de las migraciones.
28 Secondo il dizionario della Lingua Spagnola della Real Academia, il termine cholo indica un «mestizo de sangre europea e indígena», ovvero un meticcio nato dall'incrocio di un europeo e un'indigena. <www.rae.es> (06/13).
29 Mar García, Una visión de las migraciones desde la psicología del género, in García- Mina, Carrasco (coords.), Cuestiones de género, pp. 39-63.
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Abstract
To be a migrant woman includes different meanings: it means to be a breadwinner woman for personal or familiar decision; it means to be wife of an husband who will join her in the arrival country dealing with all the uncertainities of the labor market; it means to be a mother that drags her sons to an unknown new country or that fights daily to keep in touch with them when they leave overseas; but above all it means to be a woman that deals day by day with the cultural negotiation and with those stereotypes usually related with migration, doing it for herself and in order to create a better relationship with the arrival society. All these aspects are part of the interview done in february 2007 to a peruvian woman that lives in Naples since many years now and that is the main object of this article. [PUBLICATION ABSTRACT]
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