In questo intervento intendiamo mettere a fuoco alcune questioni della ricerca empirica in pedagogia. In particolare, ci riferiremo a quella forma d'indagine che viene solitamente denominata ricerca-azione.
Attualmente, non esiste né qualcosa che possa definirsi come il metodo d'indagine empirica della pedagogia, né una sua teoria completa e organica; abbiamo, piuttosto, una pluralità di metodi e di orientamenti che ispirano variamente le concrete ricerche educative. Non sembra, inoltre, possibile tracciare un vero e proprio confine tra metodi di ricerca propriamente «pedagogici» e metodi che non siano tali. Vi sono, indubbiamente, metodi che si possono presentare come i «tipici» modi di fare ricerca in pedagogia (come, appunto, la ricerca-azione), ma questo non significa che siano esclusivamente pedagogici o che siano tali per loro essenza. Il tentativo di delimitare un campo di metodi d'indagine intrinsecamente pedagogici appare contaminato da una forma di essenzialismo che porta a cercare la legittimazione dell'uso di una certa modalità di ricerca sul piano ontologico. Questo approccio essenzialista, per altro, va incontro a difficoltà rilevanti, poiché di fronte all'eterogeneità delle strategie d'investigazione utilizzate dalla pedagogia, o non riesce ad individuare un'essenza che le accomuni, o deve dare una definizione arbitraria e aprioristica di ciò che rende «pedagogico» un metodo di ricerca, non giungendo così a giustificare la pluralità metodologica vigente. Per far fronte razionalmente a tale pluralità e alla difficoltà di demarcare in modo non arbitrario il campo metodologico della ricerca pedagogica, conviene perciò abbandonare l'atteggiamento «essenzialista».
Circa la questione della demarcazione, appare più produttivo un approccio «pragmatista». Se si riportano le scelte dei metodi di ricerca pedagogica ad un'attività scientifica concepita come soluzione di problemi inerenti le pratiche educative, tutto diventa più semplice e chiaro. Certi metodi sono ormai utilizzati abitualmente nella ricerca pedagogica per la loro comprovata efficacia nel contribuire alla soluzione dei problemi educativi. In altre parole, dovremmo derivare la pertinenza pedagogica di un metodo d'indagine dalla sua funzionalità, invece di ricondurla ad una sua essenza; un metodo di ricerca, cioè, è «pedagogico» non perché intrinsecamente tale, ma se e in quanto funziona per la pedagogia, in relazione a certi suoi problemi1.
L'adozione di un atteggiamento pragmatista, come quello che abbiamo sommariamente descritto, consente di superare le difficoltà della demarcazione del campo dei metodi di ricerca pedagogica, che si delinea come un campo aperto e pluralista. Tale pluralismo di approcci investigativi, però, determina una spiccata problematicità metodologica della ricerca pedagogica. Ricondurre questa pluralità a un concetto univoco, vorrebbe dire, infatti, irrigidirne il senso in una definizione dogmatica e astratta, incapace di comprenderne la molteplicità di forme e di significati.
Il problema della metodologia della ricerca pedagogica sembra, dunque, quello di identificare una prospettiva che ne garantisca una comprensione teorica unitaria, senza sopprimerne la varietà e la multiformità in una definizione univoca. Si tratta allora di cogliere il principio della ricerca in senso critico. A questo proposito, mantiene validità la posizione del razionalismo critico, secondo cui: «la metodologia in senso critico non ha funzione normativa, ma puramente comprensiva [in quanto] tende a riconoscere nella legge teoretica della ricerca in generale il criterio determinante di ogni particolare procedimento»2. Secondo questa concezione, tale principio è quello della problematizzazione delle antinomie metodologiche che caratterizzano la prassi della ricerca, quali: razionale vs sperimentale, deduttiva vs induttiva, analitica vs sintetica; antinomie che possiamo riformulare, in termini più aderenti al campo dell'indagine pedagogica, come: ricerca teoretica vs ricerca empirica, approccio nomotetico vs approccio idiografico, metodi quantitativi vs metodi qualitativi ecc.
L'idea regolativa della ricerca pedagogica si fonda sulla permanente tensione dialettica di queste antitesi3. Questa si fa valere sia in senso negativo sia in senso positivo. In senso negativo, come atteggiamento antidogmatico verso le varie soluzioni metodologiche, nella misura in cui queste tendano ad assolutizzarsi o a cristallizzarsi in forme univoche e determinate. In senso positivo, come propensione a superare la parzialità e l'unilateralità di ciascuna di tali soluzioni e, conseguentemente, a combinare e a miscelare questi approcci nella concreta prassi dell'indagine. Una tale metodologia critica ha perciò il merito di coordinare in modo unitario il diversificato campo dei metodi di ricerca, senza sopprimerne la varietà e la concretezza, indicando una esigenza generale di conciliazione delle antitesi che lo caratterizzano, senza per altro slittare in un confuso eclettismo, in quanto le concrete scelte metodologiche - che potranno privilegiare ora l'uno ora l'altro approccio, ora una loro combinazione - sono vincolate al criterio della convenienza rispetto alla specifica questione da indagare.
Le antinomie che caratterizzano la ricerca pedagogica si sedimentano entro differenti forme di indagine e, nell'ambito di queste, entro differenti paradigmi metodologici. Rispetto alla ricerca empirica si hanno almeno tre di questi paradigmi: la ricerca sperimentale, la ricerca clinica, la ricerca-azione.
In questa sede, prenderemo in esame questa ultima, che sta conoscendo una notevole affermazione come modello capace di conferire una dimensione di ricerca alle pratiche di progettazione-valutazione educativa.
La ricerca-azione4 è un modello di ricerca empirica che mira a risolvere i problemi della pratica educativa così come essi si danno all'interno di uno specifico contesto formativo. Essa non si colloca perciò in uno spazio separato dall'attività educativa, ma dà forma d'indagine consapevole a tale attività. A questo scopo, antepone alla decisione e all'azione un momento di analisi e di definizione del problema e la formulazione dell'ipotesi di soluzione che sarà messa alla prova; all'intervento, fa poi seguire un attento esame critico dei risultati, e un eventuale ripensamento circa la natura del problema e le sue possibili soluzioni. Nella ricerca-azione non si hanno perciò procedure di campionamento o gruppi di controllo; gli operatori intervengono sul gruppo che rappresenta il destinatario «naturale» dell'azione educativa (l'insegnante interviene sulla propria classe, per esempio). Questo rende altamente problematica la generalizzazione dei risultati e si preferisce perciò ragionare in termini di «trasferibilità» delle soluzioni sperimentate. Inoltre, la complessità dei problemi affrontati è tale che la verifica empirica ha sempre un carattere olistico: è sempre un insieme d'ipotesi che viene messo alla prova; ciò, aggiunto alla problematicità del controllo delle variabili in situazioni complesse, come le situazioni educative «naturali», determina un'elevata problematicità del giudizio sulla validità della soluzione sperimentata; giudizio che perciò si mantiene sempre provvisorio, sub iudice. Per altro, nella ricerca-azione, la problematicità delle procedure e delle conclusioni sembra pienamente confacente alla complessità della materia educativa e, quindi, all'esigenza di non eleggere a giudice unico e definitivo né l'esperienza né la riflessione, ma di avvalersi della loro opera combinata e articolata su più gradi di giudizio.
Questo tipo di ricerca appare, dunque, assume che l'indagine scientifica costituisca un'attività cognitiva di soluzione di problemi, e vede le pratiche educative come la fonte dei problemi da investigare in sede pedagogica e come il «banco di prova» delle ipotesi di soluzione messe a punto. La filosofia che informa la ricerca-azione sembra cioè un'autentica filosofia della prassi: fa proprio il punto di vista di un «attore» impegnato a far fronte ai problemi educativi, e non quello di uno «spettatore» che contempla in modo disinteressato l'esperienza formativa.
Per questi motivi - per la sua maggiore naturalezza e praticabilità rispetto all'attività educativa, e perché consente di superare la separazione e la gerarchizzazione tra indagine e attività educativa -, la ricerca-azione può rappresentare la forma di ricerca fondamentale per la pedagogia.
Veniamo ad alcuni cenni alle sue problematiche metodologiche.
Rispetto alla ricerca-azione, la teorizzazione più comunemente citata è quella di Pourtois5. Questo studioso propone una conciliazione delle suddette antinomie secondo una dominanza idiografica e qualitativa fondata su una prospettiva di genere ermeneutico. Intediamo esporre una possibile fondazione alternativa per la ricerca-azione: quella dello strumentalismo deweyano (corretto secondo una rettifica attinta dal razionalismo critico6).
Per argomentare questa opzione, partiremo dalla distinzione, compiuta da Rorty, tra epistemologia ed ermeneutica7. Per Rorty, adottare una posizione epistemologica significa assumere che tutti i contributi ad un discorso sono commisurabili attraverso regole che indicano come può essere raggiunto un accordo razionale. L'ermeneutica si configura allora come una battaglia contro questo assunto, che viene sostituito dall'ipotesi di una conversazione che non riposa su matrici comuni, ma che può condurre - questa è la speranza - ad un accordo.
L'accettazione della concezione ermeneutica, così come viene prospettata da Rorty, porta - come in Pourtois - ad individuare come criterio di validazione degli esiti della ricerca-azione l'accordo intersoggettivo a cui gli attori della ricerca possono pervenire tramite la conversazione. In effetti, nella prassi della ricerca-azione si procede attraverso le cosiddette riunioni di «diagnosi rinforzante», nel corso delle quali si discute del percorso compiuto fino ad un certo momento e, conseguentemente, delle direzioni verso le quali orientare le attività successive, cercando di raggiungere un grado accettabile di convergenza nel gruppo degli insegnanti. Sono le pratiche discorsive di natura riflessiva che seguono e precedono quelle agite a rappresentare il dispositivo metodologico fondamentale di progettazione e valutazione della ricerca-azione. E, nonostante queste discussioni possano appoggiarsi su dati (per lo più qualitativi) opportunamente raccolti, è all'itinerario conversazionale che è affidata la negoziazione intersoggettiva di ciò che il gruppo farà propria come «verità», come credenza condivisa. È per altro difficile non vedere come queste stipulazioni intersoggetive delle valutazioni siano soggette alle dinamiche interne al gruppo degli insegnanti, a partire dalla semplice pressione che un'opinione che risulta maggioritaria nel gruppo esercita sugli altri membri che non la condividono interamente, per tacere poi del ruolo delle eventuali disparità di potere personale.
Contro questa concezione, Putnam ha obbiettato che il fatto che un'asserzione sia «garantita» o meno è una questione indipendente dall'opinione della maggioranza e che si fonda piuttosto sulla maggiore o minore bontà degli standard di accettabilità utilizzati. Questo studioso sostiene perciò le ragioni di un atteggiamento epistemologico, secondo un'angolazione tipica del pragmatismo, per cui «la nostra immagine del mondo non può essere "giustificata" da altro che dal successo della medesima, giudicato alla luce degli interessi e valori che si evolvono»8. La «verità», per altro, si dà sempre entro un orizzonte linguistico, perché non si può «cartografare»il mondo in maniera indipendente dal linguaggio. Come già aveva indicato Quine9, non si può però stabilire un confine rigoroso tra fatti e convenzioni linguistiche. Si può solo dire che l'accertamento della verità richiede una combinazione di questi due piani, senza che se ne possano stabilire le rispettive proporzioni.
Queste idee di Putnam riprendono la concezione strumentalista della verità di Dewey (filtrandola secondo gli assunti tipici della «svolta linguistica») e, insieme a questa, danno una fondamentale indicazione al problema della valutazione nella ricerca-azione. Per Dewey, infatti, «la conferma, la convalida, la verifica stanno nelle opere, nelle conseguenze. Dai loro frutti li riconosceremo: ciò che ci guida veramente è vero, e la capacità dimostrata di guidarci è appunto ciò che si intende per verità»10. Sono perciò necessità intrinseche all'attività stessa, alla pratica educativa, che forniscono criteri «oggettivi» per convalidare le idee pedagogiche, criteri quali: la convenienza, l'efficacia, l'efficienza ecc. Secondo un paradigma strumentalista, di marca deweyana, la validazione non è riducibile solo ad una mera questione di accordo intersoggettivo: il successo pratico di un'ipotesi è il criterio «oggettivo» a cui tale accordo è vincolato e che, almeno in linea di principio, consente di discriminare le idee migliori da quelle peggiori.
Ovviamente, questo richiamo allo strumentalismo deweyano, coniugato al realismo critico di Putnam, non pretende di risolvere il complesso problema della valutazione nella ricerca-azione o, il che poi è lo stesso, di un progetto d'intervento formativo che intenda porsi come «modello» generalizzabile (o almeno trasferibile) e sia perciò portato ad assumere una dimensione di ricerca. Tuttavia, in questa maniera risultano salvaguardate le ragioni di un atteggiamento epistemologico, rispetto ad una prospettiva puramente ermeneutica che rischia di assolutizzarsi e di subire perciò un'involuzione dogmatica. La valutazione della ricerca-azione - e la convalida delle sue ipotesi - dipende tanto dal suo successo pratico, quanto dall'interpretazione del suo significato formulata attraverso la discussione. Perciò, anche se - analogamente a quanto osservato da Quine e Putnam circa il rapporto tra linguaggio e fatti extralinguistici - non è possibile stabilire con precisione il dosaggio con cui queste due componenti partecipano alla convalida delle idee, l'interpretazione ha dei limiti, dei vincoli, fissati dal grado di riuscita pratica del progetto e questo «ancoraggio» scongiura la possibile deriva relativista della ricerca-azione.
Anche mettendo la questione in questi termini, il problema dell'affidabilità delle interpretazioni formulate dal gruppo degli attori della ricerca non è risolto, né crediamo che sia compiutamente risolubile. Si pone però l'esigenza di cercare di accrescere tale affidabilità, limitando il ruolo dei fattori che la possono compromettere. A questo proposito, una questione di indubbia rilevanza è quella connessa alla «posizione» del gruppo di ricerca-azione rispetto all'esperienza da valutare. Secondo Pourtois, il coinvolgimento esistenziale ed affettivo degli attori è una delle caratteristiche che contraddistinguono la ricerca- azione dalla ricerca sperimentale. Mentre in quest'ultima il ricercatore deve assumere un atteggiamento impersonale, allo scopo di garantire la sua imparzialità di giudizio, nella ricerca-azione si ipotizza che il coinvolgimento del ricercatore sia non solo inevitabile, ma anche positivo, in quanto la riflessione sui vissuti affettivi del gruppo è ritenuta una fonte di conoscenza importante. Il superamento di quello che Dewey definiva il punto di vista dello «spettatore», per porsi in quello di un attore che deve far fronte al mondo, invece di limitarsi a contemplarlo in modo disinteressato, appare opportuno anche nel quadro di una logica strumentalista della ricerca-azione. Tuttavia, non è priva di rilievo la questione della garanzia che un atteggiamento interessato e coinvolto non comprometta l'affidabilità delle osservazioni e delle interpretazioni formulate dal gruppo di ricerca. Cerchiamo di fare luce su questo problema.
«Tutto ciò che è detto è detto da un osservatore»11. È questo il noto principio dell'osservatore formulato da Maturana. Principio che stabilisce la prospetticità di qualsivoglia descrizione in relazione alla posizione dell'osservatore rispetto al sistema osservato. Questo significa che nessun punto di vista garantisce un approccio privilegiato o assoluto alla «verità». Di conseguenza, risultano pretese epistemiche eccessive sia quella della ricerca sperimentale, di attingere una conoscenza del tutto impersonale, sia quella della ricercaazione à la Pourtois, di individuare un accesso privilegiato grazie alla riabilitazione dell'affettività. L'atteggiamento epistemico proprio di questi modelli di ricerca può essere riconcettualizzato nei termini di una differente posizione dell'osservatore. Per dirla in maniera schematica, anche se forse non è del tutto appropriato esprimersi in questi termini, la ricerca-azione postula un osservatore «interno» al sistema di cui affronta le problematiche in qualità di attore (non di mero spettatore), restandone così coinvolto, anche esistenzialmente ed emotivamente, in prima persona. Viceversa, la ricerca sperimentale postula un osservatore «esterno» al sistema che studia e che, non essendo coinvolto direttamente nelle sue dinamiche, può assumere un atteggiamento impersonale. Il principio dell'osservatore ci dice che nessuna di queste due posizioni ci consegna una descrizione-valutazione valida in assoluto. Si tratta, piuttosto, di punti di vista complementari e reciprocamente vicarianti, i cui esiti dovrebbero essere in qualche modo coordinati. Tutto questo significa che anche l'ancoraggio della ricerca-azione a dati quantitativi e qualitativi raccolti entro il quadro di una logica strumentalista, per quanto fondamentale non è, almeno in via di principio, sufficiente. Nella misura in cui la valutazione della ricerca-azione dipende, oltre che dagli indizi del suo successo pratico, anche da un processo ermeneutico (senza che siano imputabili loro proporzioni precise), la posizione «interna» del gruppo di ricerca-azione rende inevitabilmente prospettica l'interpretazione formulata. Per una valutazione maggiormente ampia e «affidabile» occorre far interagire questo punto di vista «interno» con quello di un osservatore «esterno» alla ricerca-azione. Si fa qualcosa del genere quando si chiama a partecipare alla valutazione della ricerca-azione un qualche consulente esterno, come il cosiddetto «amico critico». Non si tratta, in questo caso, di una figura di «perito» a cui è delegata la valutazione, ritenendolo depositario dell'expertise che può rendere questa più affidabile. Il gruppo di ricerca-azione resta titolare della valutazione. Grazie all'»amico critico» si può però rendere più articolato l'insieme dei punti di vista in gioco e quindi meno esposto ad una chiusura autoreferenziale il processo di discussione- interpretazione. Ovviamente, non si tratta di giustapporre una lettura «interna» da parte del gruppo con una lettura «esterna» da parte dell'«amico critico», quanto di far interagire questi due punti di vista nel medesimo processo interpretativo, allo scopo di pervenire ad una valutazione che li integri. Questo richiede l'attivazione di quello che Gadamer12 ha definito come un processo di «fusione d'orizzonti» interpretativi. In questo caso, tale «fusione» ci sembra possibile perché nella realtà, al di là degli ideali epistemici postulati dalle due posizioni, la differenza di atteggiamento è di grado più che essere assoluta. Chi occupa una posizione «interna» è più coinvolto e meno capace di ragionare in modo impersonale, ma questo non significa che il suo giudizio sia del tutto prigioniero di tale posizione e che egli sia incapace del minimo decentramento. Lo stesso ragionamento, in termini rovesciati, vale per il consulente «esterno». Così il processo di valutazione richiede uno sforzo reciproco di capire il punto di vista dell'altro e integrarlo col proprio, secondo una dinamica stipulativa tra i membri del gruppo di ricerca-azione allargato all'»amico critico» che deve restare ancorata ai su indicati criteri della logica strumentalista della ricerca.
The author of this essay will focus on issues of empirical research in education. In particular to that form of inquiry which is usually referred to as action research. Currently there is neither something that can be defined as the detection method or an empirical theory and coherent: we have, rather, a plurality of methods and guidelines that inspire variously practical educational research. Today we talk mostly of approaches, from the pragmatic to essentialist, and this confirms the methodological variety face difficult and complex pedagogy. The author offers interesting lines of thought on these issues, and a theoretical point of view that practical.
1 La posizione pragmatista adesso esposta supera i problemi di demarcazione che ci eravamo posti in M. Baldacci, Metodologia della ricerca pedagogica, Milano, Bruno Mondadori 2001, pp.6-7, che risentivano di residue esigenze essenzialiste.
2 A. Banfi, Appunti per una metodologia critica, in A. Banfi, La ricerca della realtà, Sansoni, Firenze, 1957, p. 193.
3 Cfr. M. Baldacci, Metodologia della ricerca pedagogica, op. cit. Per le forme della ricerca in pedagogia vedi F. Frabboni, F. Pinto Minerva, Manuale di pedagogia generale, Laterza, Roma-Bari, 2001.
4 Sulla ricerca-azione vedi: J.P. Pourtois, La ricerca-azione in pedagogia, in E. Becchi, Vertecchi B. (a cura di), Manuale critico della sperimentazione e della ricerca educativa, Milano, Angeli 1986; J. Elliot, A. Giordan, C. Scurati, La ricerca-azione, Torino, Bollati Boringhieri 1993. M.L. Giovannini (a cura di), La valutazione delle innovazioni nella scuola, Bologna, Cappelli 1988; B. Losito, G. Pozzo, La ricerca azione, Roma, Carocci 2005; C. Scurati, G. Zaniello (a cura di), La ricerca azione, Napoli, Tecnodid, 1993.
5 Vedi J.P. Pourtois, La ricerca-azione in pedagogia, in E. Becchi e B. Vertecchi (a cura di), Manuale critico della sperimentazione e della ricerca educativa, Angeli, Milano, 1986.
6 Abbiamo affrontato la questione in M. Baldacci, op. cit., pp. 162 e seguito, alla quale rinviamo. Qui ci limitiamo a fare nostra la posizione di Frabboni (vedi F. Frabboni, Per una teoria razionalista della ricerca-azione, in V. Telmon, G. Balduzzi, Oggetto e metodo della ricerca in campo educativo, Clueb, Bologna, 1990, p. 307), secondo il quale occorre «immettere nella r-a una robusta venatura deduttivista con l'intento, tutto metodologico, di fare precedere sempre all'azione empirica una cifra teorica, uno schema formale siglato da un sistema d'ipotesi, secondo una curvatura cara all'impianto del razionalismo critico».
7 Vedi R. Rorty, La filosofia e lo specchio della natura, Bompiani, Milano, 1998, pp. 239 e seguito.
8 H. Putnam, Realismo dal volto umano, Il Mulino, Bologna, 1995, p. 139.
9 W.V. Quine, Due dogmi dell'empirismo, in Da un punto di vista logico, Cortina, Milano, 2004 (1953).
10 J. Dewey, Rifare la filosofia, Donzelli, Roma, 1998, p. 107.
11 H.R. Maturana, F. Varela, Autopoiesi e cognizione, Marsilio, Padova, 1992, p.53. Cfr. anche M. Ceruti, Il vincolo e la possibilità, Feltrinelli, Milano, 1992.
12 H.G. Gadamer, Verità e metodo, Bompiani, Milano, 1972.
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Copyright Firenze University Press 2009
Abstract
The author of this essay will focus on issues of empirical research in education. In particular to that form of inquiry which is usually referred to as action research. Currently there is neither something that can be defined as the detection method or an empirical theory and coherent: we have, rather, a plurality of methods and guidelines that inspire variously practical educational research. Today we talk mostly of approaches, from the pragmatic to essentialist, and this confirms the methodological variety face difficult and complex pedagogy. The author offers interesting lines of thought on these issues, and a theoretical point of view that practical. [PUBLICATION ABSTRACT]
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