Tommaso Fratini, Il bullismo in epoca di crisi. Una lettura pedagogica, Roma, Anicia, 2015
Il nuovo studio di Fratini, uno psicologo-pedagogista di orientamento psicoanalitico (attivo dentro una psicopedagogia sempre più esile e governata da prospettive cognitivisti che o tutt'al più legate alle scienze della comunicazione), riprende una vexata quaestio della psicopedagogia, il bullismo, per darcene un quadro interpretativo, teorico e operativo, d'insieme. Non nuovo in sé, è ovvio. Data la mole ormai enorme delle letture di tale fenomeno sociale, ma capace di illuminare e gestire il bullismo a partire dai propri nuclei più profondi (e personali e sociali) e dalle dinamiche che attiva e nel bullo e nella sua vittima, in modo da sviluppare prevenzione e terapie inclusive come assi portanti di ogni intervento educativo (e ri-educativo).
Fratini muove da un dato di fatto socio-culturale. La società del narcisismo attiva, nell' "età del malessere" (adolescenza) , il potenziamento delle dinamiche aggressive, alla ricerca di capri espiatori, proprio per saturare uno stato d'animo profondo d'invidia, emergente da vissuti familiari (carenze affettive, scarsità di cure ecc.) e da modelli sociali diffusi di cui i media sono echi e artefici e propagandisti, innervando l'immaginario dei giovanissimi, creando nel soggetto una condizione di bisogno (desiderio, possesso) e insieme di rifiuto rispetto a tutto ciò che sta fuori e/o contro quel modello (handicap, omosessualità, diversità etniche etc.). Da questa radice profonda di dolore/ mancanza vissuta in prima persona e di invidia prende corpo la persecuzione che produce esclusione e umiliazione. Fenomeni sempre più diffusi e non solo in età evolutiva: vedi il diffondersi del mobbing tra adulti.
Allora il bullismo va re-interpretato come tipica variante del comportamento aggressivo e riletto in tutto il corso della vita, per arrivare a darne una valutazione pedagogica (de-legittimante e proprio perché ne mostra le radici patologiche e de-formative nella personalità bullistica e gli effetti persecutori rispetto alle vittime, a cominciare dall'umiliazione che avvince il loro vissuto) e una cura educativa in primis, di cui proprio la scuola può essere l'attorechiave. Se consapevole del fenomeno. Se allenata a trattarlo per via pedagogica. Se capace di essere soprattutto comunità di inclusione.
Su tutti questi temi il volume di Fratini fissa uno sguardo preciso, documentato e organico. Pedagogicamente organico. Il testo si offre, così, come una riflessione interpretativa e terapeutica matura del fenomeno tanto in crescita tra noi (in una società neoliberista che fa degli individui e in lotta tra loro l'elemento-chiave della vita collettiva e della stessa coscienza personale) e tanto inquietante: poiché patologico appunto, a tendenza razzista, regolato sull'escludere-per-perseguitare ovvero da una logica sociale anti-democratica di cui la scuola deve farsi censore convinto e baluardo di resistenza .Anzi: di costruzione/diffusione di anticorpi. Che vanno dal prender coscienza dell'atteggiamento bullistico e delle sue radici, dal parlarne insieme e dal cambiare modello relazionale (in famiglia, ma soprattutto a scuola) su su fino a quel principio di comunità inclusiva di cui ogni scuola e classe e gruppo organizzato di giovani deve farsi interprete, tutore e operatore.
C'è speranza nel testo di Fratini. Quel disagio personale e sociale di cui il bullismo è segnale e effetto può essere cambiato di segno, per via pedagogicoeducativa, se riletto alla luce della psicoanalisi, se gestito secondo l'ottica-diinclusione, se filtrato da relazioni interpersonali che siano capaci di spostarsi dall'io-bullo all'altro-vittima e a ri-viverne i processi di umiliazione, emarginazione, persecuzione. Per comprenderli come ingiusti e da alto tasso di sofferenza. Che è già una prima via per discuterli e, forse, anche per oltrepassarli.
C'è anche un altro aspetto del saggio di Fratini, a cui si è già accennato ma che va meglio sottolineato: quello connesso alla ricerca psicopedagogica che, in pedagogia, qui da noi, è ormai da tempo disattesa e consegnata agli psicologi. Eppure essa in Italia ha avuto suoi cultori significativi, soprattutto in area laica (da Borghi alla Tornatore, passando per De Bartolomeo e la Pontecorvo, la Lumbelli o la prima Becchi , tanto per esemplificare). Poi si è pian piano dissolta nel suo iter più proprio. Di metodo e di "merito". Il testo di Fratini ci richiama a coltivarla, partendo dalla psicoanalisi, e a riassegnarle quel ruolo centrale che essa deve avere quando si affrontano i vari aspetti della formazione del soggetto: sì degli apprendimenti, ma anche e ancor più quelli della vita emozionale. In vista anche di formare dei "buoni educatori" nella e per la scuola e non solo.
Franco Cambi
Franco Cambi
Ordinario di pedagogia generale e sociale, Università di Firenze
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