1. Premessa
Sean Ó Nualláin in The Search for Mind: a New Foundation for Cognitive Science compie un'analisi sulla situazione di crisi della scienza cognitiva, esamina le voci di dissenso cresciute negli ultimi decenni ed avanza una serie di proposte concrete per una nuova fondazione della scienza. L'obiettivo è che essa diventi una vera scienza della mente, una 'scienza noetica' che tenga conto dei fattori biologici di adattamento, del tempo, del contesto situazionale, dei fattori affettivi. Non è nostro intento addentrarci in querelles accademiche sulla scienza cognitiva, quanto evidenziare che, oggi, in seguito allo sviluppo assunto dalle terapie cognitive e all'impulso degli studi sui rapporti fra emozione e conoscenza o tra psicoanalisi e cognitivismo, il paradigma cognitivo ha cambiato gli assunti epistemologici di base della scienza cognitiva ed è diventato tanto pervarsivo da riconoscere che l'affetto ha un ruolo causale nella cognizione, in quanto costituisce il tessuto con cui è foggiata la coscienza (Greco, a cura di,1999). Studi recenti sull'attaccamento madre-bambino, in quanto esperienza cruciale a partire dalla quale la mente infantile, relazionandosi con l'alterità della mente della madre, si costituisce essa stessa come mente nella relazione (Siegel, 2001), hanno evidenziato l'indissolubile interconnessione che sussiste tra cognitività ed emotività. La dimensione emotiva si presenta «come colonna sonora dell'intera vita personale e formativa del bambino, che accompagna le origini dell'io, che sostiene le radici del senso del sé, che favorisce o, al contrario, inibisce le personali elaborazioni e rappresentazione del mondo, le modalità e possibilità di relazione che il bambino crea con il proprio sé, con l'altro da sé e con l'altro come sé» ( Frabboni, Pinto Minerva, 2008, p.79). Di qui, la ridefinizione della mente come sistema distribuito nella sua ineludibile dimensione condivisa, connettiva e diffusa, e, dunque, come sistema aperto, plurale, complesso. Suddetta mente può essere definita 'mente simbolica', in quanto è costituita (e non semplicemente espressa) da una pluralità di linguaggi dai quali è indistinguibile: parola e immagine, sensorialità e pensiero, ragione e affettività, logica e fantasia. «Il nostro linguaggio - scrive Wittgenstein - può essere considerato come una vecchia città: un dedalo di stradine e di piazze, di case vecchie e nuove, e di case con parti aggiunte in tempi diversi; e il tutto circondato da una rete di nuovi sobborghi con strade diritte e regolari, e case uniformi» (Wittgenstein, 1983, p.17). Suddetta metafora bene si adatta allo sviluppo simbolico della mente che - simile all'espansione di una città che prende le mosse da un nucleo più antico e si allarga progressivamente, integrando nuovi insediamenti - parte da un nucleo ancestrale simbolico e innesta su questo l'esperienza percettiva e motoria della prima infanzia (Frabboni, Pinto Minerva, 2008, p. 86). Tale sviluppo non deve procedere in forma causale ma può essere organizzato da un'azione educativa che mira a far evolvere in modo armonico la mente simbolica del bambino, promuovendo un pensiero multidimensionale.
2. Pensiero multidimensionale e pratica educativa
Un notevole contributo ad un'azione educativa che mira a restituire ai bambini 'diritti di pensiero', promuovendo un approccio multidimensionale al pensiero, è dato da Matthew Lipman, professore di logica alla Columbia University, fondatore dell'Institute for the Advancement of Philosophy for Children. Il pensiero multidimensionale è per Lipman un pensiero notevolmente potenziato che «mira a un equilibrio tra cognitivo e affettivo, tra percettivo e concettuale, tra fisico e mentale, tra ciò che è governato da regole e ciò che non lo è» (Lipman, 2005, p. 220). Egli elabora, intorno al 1970, la Philosophy for Children, denominata anche P4C, un metodo didattico di 'accesso al pensiero', che non mira alla promozione di specifiche abilità formali, ma si pone l'obiettivo di sviluppare un pensiero complesso. Per Lipman, il pensiero complesso o 'di alto livello' è la risultante della fusione del pensiero critico (orientato alla ricerca della verità), del pensiero creativo (incentrato sulla costruzione di significati), del pensiero caring (orientato al valore). «Il pensiero - scrive Lipman - implica una compenetrazione e un'ibridazione di diverse forme di comportamento mentale, che siamo liberi di concettualizzare in ragionevolezza, creatività e 'cura'. Ogni forma assunta da questi comportamenti è una forma di ricerca; la loro unione non genera un effetto additivo bensì moltiplicativo» (Lipman, 2005, p. 220). La ricerca è, dunque, per Lipman, il processo in cui si esprime il pensiero umano nel suo dialogo con l'esperienza, con gli altri e con se stesso. Pensare è sempre intraprendere un 'percorso di ricerca' che parte dal riconoscimento di una situazione problematica per giungere ad una sua interpretazione e alla individuazione di possibili ipotesi risolutive della stessa. In P4C e pensiero critico Lipman definisce il programma della Philosophy for Children come un esempio dell'applicazione della ricerca all'educazione: «Questo significa che, invece di aspettare che gli alunni memorizzino le altrui conclusioni, così come vengono esposte nei manuali, si chiede loro di esplorare ogni area disciplinare e di riflettere autonomamente. Essere ricercatori equivale ad indagare attivamente e a domandare instancabilmente, ad essere sempre attenti a connessioni e differenze mai percepite prima, costantemente pronti ad operare confronti, ad analizzare e a costruire ipotesi, a sperimentare e ad osservare, a misurare e a mettere alla prova. Così facendo gli studenti ricercatori assumono una parte della responsabilità della loro stessa educazione. Imparano a seguire le linee della ricerca che hanno avviato e questa li conduce ad apprendere a pensare in modo autonomo» (Lipman, (n.2-3/1995), 2002, p. 43). Lipman polemizza con chi circoscrive l'attività di pensiero al solo ambito cognitivo escludendone i sentimenti e condivide il principio di Scheffer: un'emozione è cognitiva se la sua ragione è cognitiva. Questo principio, scrive Lipman, fornisce «una base per distinguere tra le emozioni cognitive e quelle non cognitive. Così se uno risponde alla domanda 'Perché abusi dei bambini'? dicendo: 'Perché li amo', e un altro risponde alla domanda 'Perché hai sposato tua moglie'? dicendo: 'Perché la amo', è molto probabile che il primo individuo non sarà in grado di esibire ragioni di natura cognitiva per il suo 'amore', mentre il secondo sarà in grado di farlo. Amare la persona che si vuole sposare è, nella maggior parte dei casi, appropriato e ragionevole; abusare dei bambini è, nella maggior parte dei casi, inappropriato e irragionevole. Il carattere cognitivo delle ragioni ha a che fare con il loro essere appropriate o inappropriate piuttosto che con le aspettative a cui corrispondono o non» (Lipman, (n. 1/1995), 2002, p. 31). Certamente, aggiunge Lipman, termini come 'cognitivo' e 'pensiero', 'affettivo' ed 'emozionale' sono vaghi e polisemici ed inoltre 'cognitivo' e 'pensiero' sono parole talmente connesse col linguaggio ed il simbolismo che tutto ciò che si presenta come non linguistico e non simbolico viene relegato nel regno dell'affettività piuttosto che in quello del pensiero. Ed è appunto per superare questo pregiudizio che Lipman propone di considerare il pensiero non tanto come elaborazione di informazioni quanto come connessione e interazione di pezzi di esperienza. In tal senso, pensare equivale a scoprire, inventare, connettere e sperimentare relazioni, e questo vale sia che si tratti di relazioni simboliche sia che si tratti di rapporti non-verbali.
Negli anni di insegnamento universitario, Lipman si confronta con notevoli difficoltà didattiche. A molti suoi allievi la logica risulta oscura e complicata per la diffusa mancanza di capacità euristiche, critiche, argomentative, prerequisiti certamente essenziali per intraprendere studi filosofici ma anche e soprattutto elementi fondamentali per ogni processo di formazione individuale. Ciò lo portò in particolare, a riflettere che l'apertura alla dimensione filosofica dell'esperienza, l'esercizio critico del pensiero, l'incontro con temi e problemi, che stimolino una ricerca di conoscenza, devono costituire un elemento essenziale in ogni percorso di formazione, a cominciare dalla scuola elementare (Striano, 2000). Elabora, pertanto, il curricolo della Philosophy for Children, con l'obiettivo di coinvolgere i soggetti fin dall'età infantile, attraverso giochi e racconti, all'esercizio del filosofare, inteso come esercizio del pensare. Introducendo la filosofia del Dewey nella pratica educativa come metodo di educazione al pensiero, Lipman rimette in gioco la filosofia come modo di vivere nel mondo, come una possibilità del pensiero e punta sulla sua funzione educativa di pratica comunitaria di pensiero in azione (Longo, 2008). Lavorando al nuovo modello di conoscibilità umano, il nostro mette a fuoco il ruolo costruttivo del soggetto e riconosce nella pratica uno spazio ermeneutico di produzione di significati, frutto di negoziazioni, sperimentazioni tra soggetti in grado di agire riflessivamente nel contesto in cui operano. La distinzione tra conoscenza ed esperienza o tra pensiero teorico e pensiero pratico viene così superata in quanto le capacità cognitive prendono forma nel corso della partecipazione individuale a pratiche socialmente organizzate. La conoscenza si delinea come pratica, come costruzione sociale, una conoscenza condivisa da soggetti appartenenti alla medesima comunità culturale (Pulvirenti, 2008). Il mondo storico-sociale e lo stesso mondo scientifico possono essere definiti non come dispiegamento di razionalità ma come il risultato di uno stratificarsi di pratiche (Schultz, 1974). Pratiche che - sottolinea Lipman - dovrebbero essere promosse sin dalla prima età scolare, per estirpare irrazionalità e difetti del modello sociale che, a tutt'oggi, permeano l'educazione.
3. La comunità di ricerca per un pensare emotivo e un sentire intelligente.
Affinché l'educazione ruoti attorno alla ricerca, è necessario che la classe venga trasformata in una comunità dove l'amicizia e la cooperazione siano accolte come contributi positivi al contesto di apprendimento, anziché costituire motivi di accusa e di competizione prevalenti in troppe classi della scuola primaria. Nella comunità di ricerca l'insegnante assume il ruolo di 'facilitatore': facilita il dialogo, non lo guida, ma lo accompagna. Egli non solo non può e non deve avere risposte preconfezionate, al contrario sperimenta il bisogno di avviare un processo di progressiva chiarificazione concettuale e terminologica affinché la ricerca possa dare i suoi frutti. Come direbbe Bruner deve svolgere una funzione di scaffolding; deve garantire una partecipazione democratica, rispettosa del contributo di tutti e di ciascuno, così come deve far sì che ad ognuno siano offerte pari opportunità di espressione e di argomentazione. La comunità di ricerca vuole costruire un sistema di pensiero che prende avvio da un'impalcatura provvisoria costituita dalle credenze già possedute, dagli obiettivi del progetto e dai valori da sostenere. La procedura è dialettica. I giudizi specifici sono modellati sulle generalizzazioni comunemente accettate e le generalizzazioni sono modellate sui giudizi specifici. Lo scopo è quello di ottenere un sistema di pensiero contraddistinto da un equilibrio riflessivo. La comunità di ricerca è caratterizzata da cognizione condivisa, inclusione, partecipazione, relazioni faccia a faccia, ricerca del significato, sentimenti di solidarietà sociale, deliberazione, imparzialità, modelli (Lipman, 2005, pp.109- 111, 118). Bambine e bambini nella comunità di ricerca giocano a pensare, imparano filosofando a fare un uso critico del pensiero, ad essere, quindi, non 'soggetti manichini dall'encefalogrammo piatto e dal cuore formattato' (Frabboni, Pinto Minerva, 2008, p. 137), ma protagonisti attivi nella costruzione della propria identità. La comunità di ricerca stimola ciascun soggetto ad aprirsi al confronto e allo scambio comunicativo, affettivo e relazionale con gli 'altri', a co-costruire un pensiero responsabile che valorizza i diversi modi di entrare in relazione con il mondo, e che fa della differenza, e del punto di vista diverso ed altro, un nodo valoriale in un confronto generativo di pensieri più complessi che riconoscono la differenza come un valore (Pulvirenti, 2006 p. 87- 90). Nella comunità di ricerca il rapporto educativo si dimentica delle relazioni di potere su cui è normalmente costruito, ogni membro del gruppo si sente incoraggiato ad osservare le procedure degli altri e a richiamare l'attenzione sulle infrazioni, a guardare attivamente alle difficoltà che si presentano per poterle superare, a tener conto del particolare contesto, a rispettare l'unicità del contesto, applicando le regole solo se risultano appropriate alla situazione data (Pulvirenti, 2004, p.109). Fu Mead, come sottolinea Lipman, a cogliere per primo le profonde implicazioni educative che derivano dal fondere insieme le due nozioni indipendenti di ricerca e comunità, unite nel medium della mente, in un singolo concetto trasformativo di comunità di ricerca. Tale concetto, infatti, somma, o meglio moltiplica, i vantaggi di una pedagogia della comunità a quelli di una metodologia della ricerca. In una comunità di ricerca l'individuo può scoprire il valore della presenza in un gruppo, può vagliare il peso dei suoi interventi nella comunità, nonché i mutamenti che essi imprimono nella ricerca. L'essere 'visto' e 'sentito' è «una premessa necessaria per riuscire a 'vedersi' e 'sentirsi' in modo realistico e completo. Per dirla con Mead, noi crediamo in noi stessi nella misura in cui riusciamo a valutare le reazioni che gli altri hanno verso di noi. Il vantaggio di recepire queste reazioni, mentre si manifestano in una comunità di ricerca, è notevole, nel senso che essa è in grado di contestualizzare ogni positività e fallimento in modo tale da far acquisire loro un valore euristico e metodologico per il progresso della scienza. Così il rischio che l'errore si trasformi o in competizione arrivistica per il successo, o in frustrazione demotivante, viene mitigato, evitando di rinforzare gli aspetti più degenerati, e purtroppo più comuni, di un'educazione di stampo individualistico » (M. Santi, 2006, p.98). La comunità di ricerca influisce, pertanto, sulla componente emotivo-affettiva della stima di sé in quanto ognuno di noi ha bisogno di essere visto ed ascoltato, di sentirsi considerato dagli altri e la stima di sé si rafforza col procedere autocorrettivo della ricerca. La base neurale del pensiero sarà anche una connessione neurale, scrive Lipman, ma il pensiero in se stesso è certamente una connessione di esperienze, non è unitario e indivisibile ed è sempre situato in un contesto. Le emozioni non hanno un effetto oscurante e fuorviante sul pensiero. Ma solo in tempi recenti, continua il nostro, grazie ai contributi di Ricoeur, Solomon, Scheffler, Elgin, Damasio e molti altri si è riusciti a mutare l'indesiderabile status epistemologico spesso attribuito alle emozioni dalla tradizione cartesiana che considerava la chiarezza e la lucidità come criteri indiscussi di verità. L'immagine popolare dell'emozione, intesa come nube densa e minacciosa capace, per forza di cose, di oscurare e confondere il nostro pensiero, si è mutata in un insieme di condizioni che possono, invece, chiarirlo e organizzarlo (Lipman, 2005, p.143-144). Nella seconda edizione di Thinking in Education, Lipman introduce alcune componenti del tutto nuove sul ruolo che le emozioni possono avere nel pensiero. Fa riferimento all'opera di Caterine Elgin che sostiene quanto segue: 1) le emozioni funzionano in maniera cognitiva solo quando 'includono credenze'. La paura, quindi, non è autentica se non si crede di essere in pericolo; 2) un'emozione fornisce una 'struttura di riferimento'. Per esempio l'amore paterno è una struttura all'interno della quale si organizzano dei sentimenti, degli atteggiamenti, delle azioni; 3) le emozioni ci aiutano a 'focalizzare' la nostra attenzione. Per esempio i nostri interessi determinano ciò di cui ci occupiamo. 4) inoltre, le emozioni mettono in evidenza; danno risalto alle cose, sono fonti di 'salienza'. Ciò non significa che 'per forza di cose' travisino. Accrescono semplicemente la consapevolezza e attribuiscono una nuova direzione alla nostra attenzione. Offrono un orientamento e alcuni modelli di sensibilità (Elgin, 1996, p. 146-169). Lipman evidenzia che le strutture emotive di riferimento che caratterizzano il nostro pensiero possono influenzare non solo i nostri giudizi valutativi ma anche quelli di classificazione. Le emozioni focalizzano l'attenzione, e il nostro modo di classificare è determinato dalle qualità cui prestiamo attenzione. «Perfino il tipo di pensiero che chiamiamo 'pensiero critico' rispecchia il bisogno emotivo di esattezza, precisione, coerenza ed efficienza. Dovremmo, perciò, opporci con fermezza all'approccio dualistico secondo cui la sfera cognitiva e quella affettiva sono due funzioni distinte e autonome in continuo contrasto fra loro» (Lipman, 2005, p. 146-147). La comunità di ricerca sollecita i bisogni cognitivi e emotivi, sviluppa capacità di relazioni intime, appaga bisogni di sicurezza e di felicità, agevola la conoscenza di sé e dell'altro, affina l'ascolto, avvia al dialogo. Il dialogo - annota Lévinas - è la non-indifferenza del tu all' io, sentimento dis-inter-essato capace certo di degenerare in odio, ma possibilità di ciò che bisogna - forse con prudenza -chiamare amore e somiglianza con l'amore (Lévinas, 1983). «Il termine 'comunità' - concepito e vissuto normalmente come contrapposto a 'ricerca' - nel curricolo di Lipman non solo ad essa non si oppone, ma ne rappresenta lo scenario qualitativo-etico, la ragione fondante. E si configura come il miglior riconoscimento e la più congrua valorizzazione della sfera affettivo-relazionale, pur nell'affermazione del logos euristico-socratico» (Lupia, 2002, p. 176). Nella comunità di ricerca, di volta in volta, si aiuta e si è aiutati, si ascolta e si è ascoltati, si comprende e si è compresi, si vive nello stesso tempo di affettività e di razionalità. Filosofare in una comunità di ricerca aiuta a far ragionare le nostre passioni e a far appassionare la nostra ragione in quanto promuove un'azione educativa contrassegnata ad un tempo da un pensare emotivo e da un sentire intelligente.
4. La P4C per pensare e sentire altri-menti. Un'esperienza laboratoriale
L'esperienza laboratoriale La P4C per pensare e sentire altri-menti è stata da me condotta, in qualità di teacher educator, nel marzo 2009 ed è stata presentata alla 14° Conferenza Internazionale ICPIC, International Council of Philosophical Inquiry with Children, Educare al pensiero complesso attraverso la ricerca filosofica. Modelli, tendenze e proposte per il nuovo millennio, che si è tenuta a Padova il 2, 3 e 4 luglio 2009. L'ipotesi di partenza sostenuta è quella secondo cui, attraverso strumenti narrativi, sia possibile ricostruire, riflettere e valutare 'in situazione' gli elementi di crescita e di trasformazione che il filosofare, a livello cognitivo, e la comunità di ricerca, a livello emotivo e relazionale, promuovono nei partecipanti. La ricerca, condotta nell'ambito delle attività promosse dall'As.Pe.I, sezione di Catania, ha visto la partecipazione di 12 tirocinanti del corso di laurea in Educatore dell'infanzia e di 10 soci As.Pe.I., di cui alcuni frequentanti la laurea specialistica in Scienze Umane, altri insegnanti di scuola primaria. Si è partiti dalla premessa che se è la comunità che educa i propri appartenenti a se stessa e ai valori, ai saperi e ai comportamenti auspicati, i contenuti e gli obiettivi specifici dell'educazione alla comunità non possono che essere individuati e valutati 'in situazione'. Pertanto, rovesciando le priorità comunemente attribuite ai momenti di formazione e di valutazione dell'apprendimento, si è messo al primo posto il momento valutativo. I modelli di riferimento sono stati il modello della valutazione formatrice di Nunziati, (1990) e di Bonniol, Vial (1997) e il modello dell'apprendimento trasformativo di Mezirow (2003).
L'esperienza laboratoriale è stata articolata in 4 incontri di 5 ore cadauno. Nel primo incontro è stata data ai partecipanti la consegna valutativa: "Riflessioni in e on action sulle esperienze cognitive, emotive e relazionali. Narra libera-mente", da utilizzare come 'sfondo integratore'; successivamente si è proceduto ad una presentazione di Lipman e della P4C; a due sessioni di lavoro (sono stati scelti come racconti: L'ospedale delle bambole ed Elfie); ad un confronto sull'esperienza in atto. Nel secondo incontro, dopo una riflessione teorica sul curricolo di Lipman e dopo due sessioni di lavoro, i partecipanti hanno proceduto all'elaborazione della consegna valutativa. Gli ultimi due incontri sono stati centrati sull'intervento formativo relativamente all'analisi valutativa ermeneutica delle tracce narrative, in prospettiva epistemica, psicologica e socio culturale, che ogni partecipante ha elaborato, con l'aiuto del facilitatore, secondo la griglia di Mezirow e sulla co-costruzione delle prospettive di significato che il filosofare nella comunità di ricerca ha generato.
I risultati conseguiti hanno confermato le ipotesi di partenza; dall'analisi valutativa ermeneutica delle tracce narrative è, infatti, emerso che l'esperienza del filosofare nella comunità di ricerca ha aperto in quasi tutti i partecipanti nuove prospettive di significato sui processi del pensare e del sentire, consentendo di identificare e promuovere elementi di crescita e di trasformazione. Molto rilevante, da un punto di vista formativo, è che gran parte dei processi di ricostruzione della conoscenza narrata hanno implicato azioni riflessive (nel significato che questo termine assume nella 'teoria trasformativa') relative alla ridiscussione delle premesse e dei presupposti, obbligando i soggetti ad una ridefinizione critica delle vecchie logiche e ad un riposizionamento epistemico sul modo di percepire, comprendere e sentire il mondo, che oltrepassa le antinomie classiche: conoscenza oggettiva/conoscenza soggettiva; vita razionale/ vita affettiva-relazionale. Dall'analisi ermeneutica si sono riscontrati, per ciò che riguarda l'esperienza del filosofare, tracce narrative di turbamento cognitivo ed indizi sul desiderio e la voglia di pensare altri-menti; per ciò che riguarda l'esperienza della comunità di ricerca, tracce narrative di turbamento emotivo e relazionale ed indizi sul desiderio e sulla voglia di sentire altri-menti.
Le esperienze narrate, particolarmente emblematiche, evidenziano come si sia innescata una sorta di interconnessione dinamica tra il filosofare in una comunità di ricerca e la ricerca da parte dei partecipanti di un riposizionamento cognitivo, emotivo e relazionale. Il che ci porta a riflettere che se il cambiamento è dato dalla capacità di autotrasformazione del soggetto, il filosofare in una comunità di ricerca dà vita a quella 'intelligenza pedagogica comune' che si alimenta di un sentimento relazionale che nasce dalla condivisione di problemi, interessi, aspirazioni, finalità ed aiuta il soggetto a moltiplicare e a dilatare gli ambiti del possibile, ricomponendo l'antinomia mente, corpo, emozioni, per pensare e sentire altri-menti (Pulvirenti et Al., 2009).
Morin proponendo la costruzione di una vera cultura psichica auspica che vivere significhi vivere poeticamente, ossia vivere intensamente la vita, vivere d'amore, vivere di comunione, vivere di comunità, vivere nello stesso tempo di affettività e di razionalità, vivere sapendo navigare tra ragione e passione. Filosofare nella comunità di ricerca può contribuire alla costruzione di suddetta cultura, orientata a far convivere l'homo sapiens e l'homo sentiens, e può promuovere quella cura sui che oggi si afferma come paradigma formativo e si impone «come pratica pedagogica primaria, alla quale si può e si deve e non si può non delegare la sussistenza di quell' ànthropos posto come libertà e coscienza, come costruzione di sé e come auto-determinazione, come legislatore di se stesso (Kant) che è per ogni soggetto, un compito, e un compito forse possibile, comunque necessario. Per essere appunto un io/sé» (Cambi. 2010, p. 44).
Francesca Pulvirenti, Education at the Thought and Affection in M. Lipman
Even an essay on the philosophy for children (P4C) and the exercise of thought. An exercise that, according to the author of the essay is educational practice. The P4C is an important contribution to educational activity which aims to restore to the children 'rights of thought'. This is largely thanks to M. Lipman who has always supported the theory of multidimensional thinking of the child. The author insists on the concept of community because each group should be turned into a community to develop feelings of friendship and love. The P4C is proposed as a tool to think and feel other-minds, and the author presents us a laboratory experience
Riferimenti bibliografici
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Francesca Pulvirenti
Straordinario di pedagogia generale e sociale, Università di Catania
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Copyright Firenze University Press 2010
Abstract
Even an essay on the philosophy for children (P4C) and the exercise of thought. An exercise that, according to the author of the essay is educational practice. The P4C is an important contribution to educational activity which aims to restore to the children 'rights of thought'. This is largely thanks to M. Lipman who has always supported the theory of multidimensional thinking of the child. The author insists on the concept of community because each group should be turned into a community to develop feelings of friendship and love. The P4C is proposed as a tool to think and feel other-minds, and the author presents us a laboratory experience. [PUBLICATION ABSTRACT]
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