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Bobbio N., Democrazia e segreto, a cura di M. Revelli, Torino, Einaudi, 2011, pp. xrx-54.
«Il segreto sta nel nucleo più interno del potere». Norberto Bobbio usava spesso citare questo passo di Massa e potere di Elias Canetti per sottolineare come, per secoli, il segreto sia stato considerato da uomini di Stato e teorici della politica uno strumento essenziale all'esercizio del potere. A questa teoria (e pratica) degli arcana imperii i sostenitori della democrazia hanno contrapposto l'idea di un potere «in pubblico», in cui, kantianamente, si faccia un «uso pubblico della ragione», cioè si discuta in modo informato e competente sui problemi della comunità per giungere a decisioni consapevoli e condivise e per esercitare un efficace controllo sui governanti. Peraltro un simile obiettivo non è stato raggiunto a giudizio di Bobbio, che nel saggio II futuro della democrazia indica neU'eliminazione del potere invisibile una delle sei grandi promesse non mantenute dall'ideologia democratica (le altre sono la sovranità dell'individuo, la rappresentanza politica senza vincolo di mandato, l'eliminazione del potere oligarchico, l'estensione del potere democratico dall'ambito politico a quello sociale, l'educazione politica del cittadino), anche per l'emergere di ostacoli non previsti dai suoi teorici (affermazione di tecnocrazia e burocrazia, scarsa governabilità delle società democratiche).
Oltre al citato saggio del 1984, Bobbio ha dedicato molti altri interventi al tema della persistenza di forme segrete di potere nei sistemi politici democratici. Quattro di questi scritti sono ora raccolti nell'agile volume curato da Marco Revelli. Nella prefazione, il curatore ricostruisce il contesto storico in cui è maturata la riflessione di Bobbio sull'argomento, in particolare le molte vicende occulte ed inquietanti che hanno accompagnato la pratica del potere politico nell'Italia repubblicana. Non a caso, sottolinea Revelli, il primo intervento dello studioso piemontese sul «potere invisibile», La violenza di Stato, è un articolo comparso nel gennaio del 1970, circa un mese dopo la strage di Piazza Fontana, quando cominciano a serpeggiare le ombre sinistre di quella che poi verrà definita la «strategia della tensione». Bobbio sottolinea che la violenza va sempre chiamata con il suo nome, anche quando non è opera di gruppi di ribelli o di cortei studenteschi, «ma si nasconde dietro la decorosa facciata delle istituzioni».
Il filosofo torinese ritorna sull'argomento quattro anni dopo, nell'introduzione all'edizione einaudiana del saggio di...