Pur essendo una delle figure di spicco della pedagogia statunitense della fine del XX secolo, Neil Postman non ha ricevuto molta ospitalità nella manualistica e nella saggistica pedagogica italiana. Un'assenza singolare, visto che il suo sguardo ben si concilia con quella pedagogia critica che, proprio in Italia, è stata decantata da autorevoli esponenti nella seconda metà del '900. Una scarsa - o comunque insufficiente - considerazione che, forse, deriva anche dalla collocazione disciplinare assegnata all'autore statunitense. Egli si inserisce all'interno della scuola statunitense che fa capo, tra gli altri, a Walter Ong, Harold Innis, Lewis Mumford e Eric Havelock. Tutti autori che si sono occupati di comunicazione, di media e di società ma non, almeno esplicitamente, di pedagogia.
Trattandosi di un intellettuale complesso, è estremamente rischioso collocare Postman in un solo settore disciplinare: le sue ricerche sono state in grado di intraprendere itinerari vari ed originali, favorendo il dialogo e l'intersezione tra più ambiti di studio. Senza la pretesa di esaurire il suo complesso percorso di ricerca, può essere utile per questa analisi individuare quattro percorsi disciplinari che, indipendentemente dalle tappe che cronologicamente hanno contraddistinto la ricerca di Postman, rappresentano dei topoi nelle sue trattazioni. E quattro percorsi che, lungi dall'essere isolati tra loro, hanno reso le analisi le ricerche di Postman sia multi-che inter-disciplinari e, al tempo stesso, attualissime. Un primo itinerario è rappresentato dal Postman storico e, in particolare, dallo storico dell'infanzia; assegnando alla stampa un ruolo generativo riguardo al "sentimento dell'infanzia" descritto da Ariès, egli ritiene che i media stiano provocando - o abbiano già provocato - una scomparsa della stessa infanzia, o quantomeno della sua particolarità e della sua specificità rispetto all'età adulta. Un secondo è quello sociologico e, in particolare, sociologico-critico, che, oltre a denunciare le preoccupanti somiglianze tra la cultura dei media e il Brave New World1 di Huxley, cerca di denunciare i rischi di un'uguaglianza tra progresso tecnologico (e scientifico) e progresso umano. Un terzo è quello linguistico, interessato alla capacità del linguaggio (anzi, dei linguaggi: orale, scritto, trasmesso, ecc.) di strutturare e di condi1 zionare i nostri "modi di pensare". Infine, strettamente connesso a questo, vi è un quarto itinerario, che in parte racchiude gli altri tre, rappresentato dal Postman pedagogista: attraverso un percorso di ricerca che si declina tra pratica e teoria, egli si fa, infatti, sia educatore che pedagogista che, forse, filosofo dell'educazione. Sono quattro itinerari che si intrecciano nel corso delle sue ricerche e che ne delineano il profilo di intellettuale complesso e poliedrico. E di un intellettuale capace di offrire un contributo critico, da leggere attentamente e da valorizzare come interprete attualissimo della contemporaneità.
1. Linguistica, indagine e formazione
Dopo aver condotto una ricerca sul rapporto tra televisione e insegnamento della lingua inglese (1961), nel 1966 Postman pubblica La linguistica2: il saggio, scritto a quattro mani insieme a Charles Weingartner, fa riferimento già dal sottotitolo ("una rivoluzione nell'insegnamento") alle implicazioni e alle applicazioni pedagogiche della linguistica. Se far sì che gli allievi "imparino ad imparare" è uno dei principi e gli obiettivi dell'educazione, allora la linguistica riveste un ruolo fondamentale all'interno della scuola, in quanto essa assolve proprio a questo scopo e, inoltre, promuove la formazione di soggetti "più umani" e "più aperti", di mente e di spirito. Essa, proprio per svolgere questa funzione, richiede (e, al tempo stesso, coltiva) un atteggiamento mentale specifico, secondo soprattutto quattro caratteristiche: in primis essa promuove una certa ostilità al "dogmatismo" e al principio di autorità; si fonda sull'assunto che ogni tipo di risposta che viene data ad un interrogativo non è altro che un "tentativo"; ha una naturale disposizione ad accettare differenti e contraddittorie risponde ad una domanda; possiede, infine, una certa attitudine all'obiettività e al distacco.
Con la loro prospettiva linguistica e pedagogica Postman e Weingartner, a partire in particolare dalle teorie di Sapir e di Bloomfield, ma anche di Wittgenstein e di Russell, tentano di conciliare le esperienze pedagogiche di Dewey e di Bruner: se da un lato il problema dell'istruzione consiste nel fornire agli studenti "qualcosa da fare", nell'impegnare la loro immaginazione e nell'aumentare la loro capacità di condurre indagini, la lingua necessita di essere studiata perché "aiuta un individuo a diventare qualcosa che non è, o a fare qualcosa che non sa fare o a sentire ciò che vorrebbe sentire"3. Al tempo stesso, seguendo la lezione di Bruner, gli autori sostengono che la lingua possa essere anche un mezzo attraverso il quale arrivare a comprendere come si forma la conoscenza e come è possibile contribuire ad una "comprensione intelligente".
Tra le varie definizioni di linguistica rintracciabili nel testo, la più ricorrente è quella che la identifica come un'attività, come un "modo di fare qual-cosa" o, meglio, come un "modo di comportarsi": come spiegano gli autori, essa "è un modo di comportarsi nel tentativo di acquisire maggiori informazioni e conoscenze sul linguaggio"4. Ma non solo: la linguistica consiste anche in un "atteggiamento scientifico", che deve essere adottato nello studio del linguaggio: è, insomma, una sorta di tramite, che può - e deve - promuovere all'interno della scuola l'applicazione del "processo di indagine". Tale processo rispecchia, almeno in parte, il metodo deweyano: a partire dal processo di definizione, ovvero dal tentativo di assicurarsi di parlare in modo sensato e di fare un uso responsabile della lingua, si sostiene la necessità di un procedimento interrogativo, che elabori alcune domande-chiave e che cerchi di darvi una possibile risposta; successivamente può avere inizio il processo di osservazione, un procedimento induttivo in base al quale ogni asserzione si deve legare all'osservazione. La quarta tappa di questa indagine è costituita dal processo classificatorio, che consiste nel dare un orientamento utile e obiettivo ai dati in possesso; a questo fanno seguito un processo di generalizzazione, che, a partire dai dati raccolti, porta a formulare delle ipotesi, delle regole o delle leggi, e, infine, un processo di revisione e di verifica, che vagli le generalizzazioni risultanti dalle indagini.
Dato che "imparare ad apprendere" significa "imparare ad usare i simboli verbali", condurre indagini in ogni ambito disciplinare significa per lo studente anche imparare l'uso del linguaggio: è per questo motivo che Postman e Weingartner arrivano a sostenere che qualsiasi insegnante, indipendentemente dalla materia di cui si occupa, debba prendere consapevolezza di essere anche un insegnante di lingua5. Egli, infatti, ha il compito fondamentale di rendere gli studenti "osservatori" del meccanismo di una lingua e, al tempo stesso, di far sviluppare loro un atteggiamento critico nei confronti dell'autorità e, più in generale, della realtà. Dato che ogni soggetto si inserisce in un contesto culturale e, conseguentemente, in una "realtà simbolica" che accompagna la "realtà fisica", la percezione che ogni individuo ha di ciò che è "vero" o "reale" è determinata dai simboli e dalle istituzioni che gestiscono (o "manipolano") questi simboli6.
La lingua diviene così strumento "sovversivo" e può essere considerato vettore di riscatto e di emancipazione per i soggetti: le posizioni di Postman e Weingartner qui si avvicinano alle tesi di altri autori che, da ambienti culturali e da discipline diverse - si pensi a Freire, ma anche a Lorenzo Milani-, auspicano una diffusa alfabetizzazione al fine di portare ad una presa di coscienza da parte dei soggetti e di rendere i cittadini più critici e più responsabili. Postman torna sull'argomento due decenni più tardi in Technopoly, in cui chiarisce che il linguaggio è uno strumento ideologico, anzi è lo strumento ideologico, il più potente: esso "non solo ci insegna i nomi delle cose ma, cosa più importante, quali cose possono avere un nome; esso divide il mondo in soggetti e oggetti e denota quali avvenimenti devono essere considerati come processi, e quali come cose"7. Il programma ideologico della lingua, diversamente da quello di altre tecnologie, è destinato a restare nascosto, in quanto è integrato talmente in profondità nell'inconscio di ciascun soggetto, della sua personalità e della sua visione del mondo, che per scoprirne la presenza occorre compiere uno sforzo speciale: "poiché proviene dall'interno di noi stessi, crediamo che sia una espressione diretta della realtà del mondo, semplice, senza preconcetti, apolitica"8.
Ispirandosi agli studi di Charles Carpenter Fries, ma anche agli studi di linguistica e di semiotica interpretativa, Postman e Weingartner ricordano che la lingua è soprattutto una "forma di comportamento" e che padroneggiarla significa osservarne gli usi e comprendere gli effetti che essa può produrre nei soggetti. Per questo gli autori sostengono la necessità che la scuola, attraverso la grammatica e la semantica, ma anche attraverso la pragmatica, la lessicografia, la geografia linguistica, la psicolinguistica e la sociolinguistica, metta in luce le infinite variazioni che i parlanti possono apportare alla lingua9. Mancando regole permanenti ed assolute, la lingua cambia ininterrottamente e, soltanto se sono consapevoli di questa variabilità, gli allievi possono sviluppare le capacità per servirsene efficacemente nel corso della vita.
Attribuendo alla linguistica un ruolo fondamentale per l'educazione, per l'istruzione e per la formazione del soggetto, gli autori offrono un contributo anche agli studi sulla testualità: nel processo interpretativo il lettore assume un ruolo fondamentale, in quanto non è semplicemente chiamato a ricevere i contenuti che l'autore ha prodotto, ma, per ricevere i messaggi in modo critico, libero e non dogmatico, deve diventare interprete attivo, padroneggiare il codice dell'autore e servirsi di abilità di analisi, di ragionamento e di valutazione del linguaggio10. Le tesi degli autori qui si intrecciano con gli studi di semiotica interpretativa, che, sulla scia di Charles Sanders Peirce, vengono approfonditi da Umberto Eco11 e da altri autori. Come scrivono Postman e Weingartner, "il ruolo del lettore è quello di dare significati ragionevoli a quello che è scritto, [...] gli studenti devono cercare di trovare che cosa fa la gente quando si sforza di trovare un significato della parola scritta"12. La linguistica dovrebbe farsi dunque anche "metalinguistica" e portare il soggetto a sviluppare una raffinata consapevolezza dei vari usi della lingua (dalla scrittura alla lettura, dalla parola parlata a quella "trasmessa") per comprendere quali convenzioni facilitano e quali bloccano la formazione di significati ragionevoli, "quali informazioni accrescono o diminuiscono la loro capacità di usare in modo appropriato i significati suggeriti dal materiale scritto"13.
2. L'infanzia scomparsa
Uno dei testi ha contributo ad una diffusione planetaria dell'opera di Postman è The Disappearance of Childhood, pubblicato nel 198214. Le tesi di storia dell'infanzia di Postman hanno ricevuto numerose critiche, sia a livello teorico che a livello metodologico: a prescindere da queste, l'idea di una infanzia che, dopo la scoperta e dopo la mitizzazione15, sia esposta al rischio di scomparsa è assolutamente pregnante ed attuale. La ricostruzione storica muove delle tesi di Philippe Ariès, per il quale, anche se l'infanzia, intesa come fascia di età, ovviamente è sempre esistita nelle società umane, è però a partire dal Rinascimento che l'idea o il "sentimento dell'infanzia" si diffonde nella società. Un sentimento che si è sviluppato, affinato ed arricchito fino ad arrivare ai giorni nostri.
Postman si ispira agli autori che prima di lui si sono occupati del tema16 e, pur riconoscendo l'attenzione che la società dell'Antica Grecia e la cultura romana riservano all'infanzia come categoria specifica di età, nota che gli "embrioni" di quel sentimento scompaiono nei secoli del Medioevo. In questa epoca storica, fondata principalmente su una cultura di tipo orale, non vi è un chiaro concetto né del bambino né dell'adulto: l'infanzia, proprio secondo l'etimologia della parola che si riferisce al "non saper parlare", è da considerarsi conclusa a sette anni, quando i bambini acquistano il controllo del proprio linguaggio. Il bambino in epoca medievale non viene inserito in istituzioni specifiche, così cresce nella stessa sfera sociale dell'adulto e ha la possibilità di accedere a tutte le forme di vita comune. Al pari di Ariès e di altri storici, Postman si serve di fonti iconografiche e in particolare si riferisce ai quadri di Pieter Bruegel, nei quali ai bambini non è riservato uno spazio privato, né si pensa a loro come un'età da proteggere o da tutelare da alcune esperienze traumatiche. L'infanzia è, piuttosto, un'età esposta inevitabilmente ad un altissimo tasso di mortalità: "l'incapacità di leggere e scrivere, l'assenza di un'idea dell'educazione, la mancanza del senso del pudore: ecco i motivi per i quali non vi fu, nel medio evo, un concetto dell'infanzia"17.
Il cambio di paradigma avviene per Postman con l'invenzione dei caratteri mobili e con la diffusione della stampa: anche se sono necessari due secoli prima che divenga "un'irreversibile caratteristica della civiltà occidentale", l'invenzione di Gutenberg segnerebbe l'inizio di una nuova era. Con la nascita dell'"uomo alfabetizzato" viene istituita una sostanziale differenza tra gli adulti e i bambini, fondata proprio sulla incapacità di questi ultimi di leggere un testo scritto. Se prima non vi era stato bisogno di un'idea di infanzia, in quanto tutti facevano parte della stessa dimensione conoscitiva, con la nascita di un nuovo tipo di adulto l'infanzia comincia a separarsi dal suo mondo sociale e intellettuale e ad aver bisogno di un'istituzione specifica a lei dedicata, ovvero la scuola, e di cure particolari da parte della famiglia: "dall'invenzione della stampa in poi i giovani avrebbero dovuto divenire adulti, e avrebbero dovuto conseguire questa mèta imparando a leggere, entrando così nel mondo dell'arte tipografica"18. La scuola "certifica" la particolarità dell'infanzia e fa sì che il giovane non venga considerato un "adulto in miniatura", ma, piuttosto, l'incunabolo di un adulto, un uomo-in-formazione, che si prepara per essere adulto. Come l'infanzia gradualmente diviene una categoria sociale, la scuola inizia a tenere a conto delle diverse età e dei diversi gradi di apprendimento e si diffonde, nota Postman citando Eisenstein, una "cultura giovanile". La famiglia, al tempo stesso, assume consapevolmente il ruolo di istituzione educativa, in quanto diviene responsabile di una crescita non soltanto fisica ma anche morale e sociale del fanciullo. Con l'idea di infanzia si diffonde quindi il "sentimento dell'infanzia", che porta gli adulti ad allestire un "contesto" adatto all'infanzia, contrassegnato non solo di protezione e di cura, ma anche di segreti dai quali è opportuno tenere lontana la gioventù. Tra mito, conoscenza/scoperta e miglioramento delle condizioni reali - che, pur senza coinvolgere tutte le classi sociali e tutte le aree geografiche, è comunque riscontrabile nelle culture occidentali - il bambino viene riconosciuto come un soggetto "di cui vanno preservate e alimentate la personalità e l'individualità, differite le capacità di autocontrollo, la gratificazione e la possibilità di pensiero logico, e mantenuta sotto il controllo degli adulti la conoscenza della vita"19.
A partire dagli anni '50 del XX secolo, per arrivare fino agli anni '80, quando Postman scrive il suo celebre saggio, saremmo di fronte ad una "scomparsa" dell'infanzia, provocata - ancora una volta - da una rivoluzione comunicativa. Se la stampa era stata all'origine della "scoperta", la televisione e i nuovi mezzi di comunicazione elettronici sono per Postman i responsabili di questa "sparizione". Già nel corso dei primi anni del Novecento, il fatto che in molti contesti sociali e culturali l'infanzia venisse riconosciuta come un diritto riconosciuto a tutti per nascita comportò l'equivoco per il quale essa era considerata come categoria biologica più che come prodotto della cultura: tale equivoco, ritiene Postman, è all'origine della disgregazione di quella dimensione simbolica che, seppur faticosamente, nei tre secoli precedenti, aveva favorito la diffusione dell'idea e del sentimento dell'infanzia. A partire dall'introduzione del telegrafo, per proseguire con gli altri strumenti comunicativi elettronici, l'ambiente e il contesto predisposto appositamente dagli adulti per l'infanzia comincia a subire trasformazioni, sia per la velocità che per la forma delle informazioni: oltre a cambiare il tipo (e la quantità) di notizie con i quali i bambini possono entrare in contatto, muta anche la forma dell'informazione che, da testuale, diviene principalmente visiva e fondata sulle immagini:
Attorno al 1950 [...] l'infanzia divenne un concetto obsoleto, quando cominciava ad essere percepita come un'istituzione permanente. Ho scelto il 1950 perché è l'anno in cui la televisione s'insediò, e saldamente, nelle famiglie americane, e perché nella televisione si fondono la rivoluzione elettronica e quella grafica. Nella televisione, quindi, dobbiamo vedere molto chiaramente in che modo e perché la base storica per una linea divisoria tra l'infanzia e l'età adulta stia inequivocabilmente scomparendo20.
Sostenendo che è andata scomparendo la linea divisoria tra infanzia ed età adulta, Postman non soltanto denuncia l'estinzione di quel sentimento dell'infanzia tanto faticosamente conquistato o la scomparsa dei bambini dai mass media21, ma anche fa notare come l'età adulta tenda sempre più a "infantilizzarsi": la televisione, nella maggior parte dei casi, non separa gli spettatori adulti da quelli bambini e fornisce a tutti le stesse informazioni. La dimensione "elettronica" dell'informazione dunque non comporterebbe soltanto una scomparsa dell'infanzia, ma anche dell'età adulta, o almeno dell'età adulta così come è stata definita a partire dall'invenzione dei caratteri mobili. Tende cioè ad estinguersi o ad atrofizzarsi la cultura fondata sulla scrittura, sul saper leggere e scrivere, sull'esercizio dell'autocontrollo e sulla capacità di pensare in modo concettuale e consequenziale. Le età della vita sarebbero così ridotte a tre: tra la prima infanzia e la senilità, vi sarebbe la condizione che Postman definisce di "bambino-adulto": "un individuo ormai formato, le cui capacità intellettive ed emotive sono non pienamente realizzate, e, in particolare, non molto differenti da quelle che comunemente si attribuiscono ai bambini. [...] il bambino-adulto sta tornando a costituire una condizione normale della nostra cultura"22. E, dunque, un bambino-adulto impoverito della capacità di pensiero critico e di indagine, irretito dalla cultura di massa e incapace di aspirare ai valori autentici della formazione.
3. Il 'delitto perfetto'. La sociologia-critica di Postman
Alla base delle tesi sociologiche di Postman vi è una paradossale considerazione: la diffusione capillare di comunicazione favorita dai media elettronici, pur garantendo un aumento delle informazioni a disposizione di ciascun individuo e della collettività, avrebbe comportato una crisi della democrazia. Il Novecento sarebbe un secolo contraddistinto proprio da una drastica "riduzione di democrazia", non soltanto nei regimi che si servono dei mezzi di comunicazione di massa per esercitare un potere totalitario e autoritario, ma anche in quei paesi, come gli Stati Uniti, storicamente fondati sulla democrazia: tali paesi riescono infatti a far sì che l'ideologia dominante non venga imposta attraverso la repressione o la censura, ma, paradossalmente, attraverso l'oblio e il divertimento. Anziché ispirarsi, come molti sociologi-critici hanno fatto, all'antiutopia del Big Brother raffigurata da George Orwell in 1984, il riferimento per Postman è al Brave New World di Aldous Huxley, nel quale la cultura e la storia sono "anestetizzate" da un'assordante abbondanza di informazioni:
Contrariamente a un'opinione diffusa [...] Huxley e Orwell non avevano profetizzato le stesse cose. Orwell immagina che saremo sopraffatti da un dittatore. Nella visione di Huxley non sarà il Grande Fratello a toglierci l'autonomia, la cultura e la storia. La gente sarà felice di essere oppressa e adorerà la tecnologia che libera dalla fatica di pensare. [...] In 1984 la gente è tenuta sotto controllo con le punizioni: nel Mondo nuovo, con i piaceri. In breve, Orwell temeva che saremmo stati distrutti da ciò che odiamo, Huxley da ciò che amiamo23.
Attraverso l'ironico titolo dato al suo volume del 1986, Amusing Ourselves to Death, Postman non soltanto suggerisce che la società contemporanea abbia come modello paradigmatico Las Vegas, città fondata sul divertimento, ma anche sostiene che tale società tenda ad eliminare (o comunque a far "atrofizzare") il pensiero critico, la storia e la cultura. Il modo migliore per capire una cultura - suggerisce Postman, erede della scuola di Toronto di Mc Luhan e attento lettore di Walter Ong - è quello di prestare attenzione per gli strumenti di conservazione di cui essa si serve: se fino agli inizi del Novecento gli strumenti principali per tale fine erano state la parola e la stampa24, oggi esse rischiano di essere sostituite dai mezzi di comunicazione di massa. Questi sono per Postman delle "metafore", le quali, anziché fondarsi sulla conversazione e sul pensiero astratto, classificano, analizzano e modellano il mondo al posto dell'uomo. Sarebbe avvenuto così un "delitto perfetto", simile a quello descritto da Jean Baudrillard25, nel quale l'assassino non solo non viene scoperto, ma continua a dettare l'agenda della vita quotidiana di ogni soggetto. Il "mondo del cucù" configurato dai media elettronici, e in particolare dalla televisione, è un mondo "senza senso né coerenza", che "non ci chiede nulla né, in verità, ci promette nulla", ma è anche un mondo "interminabilmente divertente"26. La televisione, facendosi "mito"27, tende ad apparire naturale, a celare la sua artificialità e, prepotentemente, a sostituirsi alla cultura. Essa diventa dunque una forma mentis, così profondamente radicata nella nostra coscienza da risultare invisibile. Al di là delle caratteristiche strutturali che essa possiede e dei modi in cui la sua forma condiziona il contenuto - per dirla con McLuhan, la televisione anche per Postman "è il messaggio" - sono anche i suoi usi e i contesti nei quali essa si è diffusa a provocare una profonda trasformazione culturale, sociale e antropologica. La società televisiva si fonda sullo spettacolo e sul "passatempo frivolo", al punto che non è più possibile, arriva a sostenere Postman, distinguere ciò che è spettacolo da ciò che non lo è. Anche se, come avviene nei regimi autoritari o nell'antiutopia di Orwell, il regime politico non opera un diretto controllo sui mezzi di comunicazione, il controllo sarebbe totale e capillare, proprio grazie all'adattamento della massa all'incoerenza e al suo "crogiolarsi nell'indifferenza"28.
Un'altra interessante chiave di lettura alla riflessione sul potere "strisciante" dei media nel Novecento viene offerta dallo stesso Postman in Technopoly. In questo volume, secondo una prospettiva più ampia, l'autore non si concentra soltanto sulle strutture e sulle funzioni dei mezzi di comunicazione di massa, ma estende la sua analisi alla tecnica e alla tecnologia, cercando di comprendere come esse esercitino una forma di dominio sulla cultura e sull'uomo. Oltre ad esporre le posizioni, tra le altre, di Martin Heidegger della Scuola di Francoforte, di Innis e di Gehlen29, Postman tenta una sintesi e giunge ad una tesi "forte". Superata la fase della "cultura strumentale", durante la quale gli utensili venivano inventati per risolvere i problemi urgenti della vita materiale oppure per servire il mondo simbolico dell'arte, e oltrepassata anche la fase della "tecnocrazia", in cui gli strumenti non vengono integrati nella cultura ma cercano di diventare cultura30, nel corso del Novecento si sarebbe diffusa nella cultura occidentale una forma di "tecnopolio". Questa condizione, che Postman definisce come "l'assoggettamento di tutte le forme della vita culturale alla sovranità della tecnica e della tecnologia"31, si ricollega proprio al Brave New World in quanto, come nel mondo antiutopico di Huxley, ogni alternativa possibile al tecnopolio viene resa "invisibile" e "irrilevante". Il "dopo-Ford"32 non è collegabile ad una data precisa, ma ad serie di avvenimenti e di progressi scientifici dettati dalla crescita industriale che hanno portato gli Stati Uniti - la prima nazione a diventare un tecnopolio, spiega Postman - ad accettare l'idea che qualsiasi tipo di tecnica sia in grado di pensare al posto dell'uomo. Le tesi di Frederick W. Taylor, raccolte in The Principles of Scientific Management e riferite alla produzione industriale33, cominciano ad essere applicate all'intera cultura, promuovendo la convinzione che il calcolo tecnico sia superiore al giudizio umano e che lo scopo principale del lavoro, in ogni ambito professionale, sia l'efficienza. Nel tecnopolio avverrebbe una "deificazione" della tecnologia, ovvero la cultura ricercherebbe nella tecnologia la propria giustificazione, troverebbe soddisfazione nella tecnologia e prenderebbe ordini dalla tecnologia34.
Lo sguardo col quale l'intellettuale e, in generale, l'uomo dovrebbero rivolgersi alla tecnologia, sostiene Postman, è quello del re Thamus che, come racconta Socrate nel Fedro di Platone, non si fa abbagliare dal fascino delle nuove invenzioni - ad esempio l'alfabeto - ma ne valuta le sue conseguenze di impoverimento - che nel caso della scrittura riguarda le capacità mnemoniche dell'uomo35. Thamus si preoccupa, prima ancora di ciò che scriverà l'uomo, del fatto che l'uomo scriverà. Già prima di McLuhan, il re dell'Alto Egitto, seppur con altre parole, sosteneva che il "medium è il messaggio" e che la forma di una tecnologia condiziona profondamente il contenuto: "la tecnologia determina imperiosamente la nostra terminologia più importante" e "lo fa senza fermarsi a dircelo, e non ci fermiamo a chiederglielo". Qui Platone, attraverso le parole Thamus, anticipa molti studiosi di comunicazione del Novecento e suggerisce, alla pari, ad esempio, di Harold Innis, che le tecnologie creano dei "monopoli della conoscenza", assegnando potere a coloro che controllano l'elaborazione di una tecnologia a scapito di coloro che non la padroneggiano. L'ammirazione per Thamus e per il suo sospetto critico espone Postman alle critiche di autori che lo hanno accusato di essere un "tecnofobo con un occhio solo" o, per dirla con Eco, un "apocalittico". Lo stesso autore conferma il suo sbilanciamento verso la prospettiva critica e radicalmente critica36, ma rimane comunque il suo sguardo - potremmo dire il suo "paradigma" - ecologico, che ridimensiona gran parte di queste accuse. Partendo dalla considerazione che una nuova tecnologia non aggiunge né sottrae alcunché, ma "cambia tutto", occorre puntare al ristabilimento dell'equilibrio, affinché l'habitat dell'uomo non si impoverisca e non finisca per privare l'uomo stesso della sua capacità di pensiero e, in particolare, di pensiero critico. Per questo, come si vedrà, Postman auspica un intervento "omeostatico" della scuola, che riporti equilibrio e impedisca alla Tecnica e alla Tecnologia di esercitare un invincibile dominio sull'uomo.
Il rapporto tra uomo e tecnica, tra cultura e tecnologia, tra sviluppo e progresso può essere spiegato per Postman anche a partire da una riflessione sull'informazione. La rivoluzione tecnologica, avviata dalla diffusione della stampa, ha dato avvio all'età dell'informazione e, con essa, si è diffusa la necessità di controllare e di organizzare il flusso delle informazioni. Se le scuole sono state un efficace modo per governare l'ecologia dell'informazione durante la tecnocrazia, il tecnopolio si contraddistingue proprio per l'impossibilità di attivare un sistema immunitario rispetto all'informazione37. Le innovazioni tecnologiche del Novecento hanno aumentato esponenzialmente la quantità di informazioni in forma di parole e di immagini, al punto che, attraverso la diffusione del telegrafo e della fotografia, della radiotelevisione e del computer, diviene impossibile esercitare un controllo sull'informazione: "l'ambiente in cui prospera il tecnopolio è un ambiente in cui si è spezzato il legame tra informazione e finalità umana"38. Postman legge i rapporti tra tecnologia, informazione e potere, secondo una prospettiva che può essere messa in relazione con il concetto, caro ai francofortesi, di "industria culturale"39. Possiamo però notare come con alcune analisi l'autore si spinga anche oltre. Anziché riferirsi infatti ad un regime totalitario, simile a quello orwelliano di 198440, egli nota la somiglianza del tecnopolio col Brave New World di Huxley. Un mondo, contrariamente a quello di Orwell, destinato a longevità, principalmente per la sua "amichevolezza" e per la sua capacità di agire quando i soggetti abbassano le proprie difese:
quando una popolazione è distratta da cose superficiali, quando la vita culturale è diventata un eterno circo di divertimenti, quando ogni serio discorso pubblico si trasforma in un balbettio infantile, quando, in breve, un intero popolo si trasforma in uno spettatore e ogni affare pubblico in vaudeville, allora la nazione è in pericolo, la morte della cultura è chiaramente una possibilità41.
Come suggerisce lo stesso Postman in chiusura del suo testo Divertirsi da morire, sia nel Brave New World che nella società contemporanea, non costituisce un problema soltanto il fatto che il "ridere" sostituisca il "pensare", ma occorre allarmarsi anche del fatto di "non sapere per cosa ridere": in questa situazione l'intellettuale ha il compito fondamentale di chiedersi "perché si è cessato di pensare". Se la mancanza di informazione sarebbe un danno gravissimo per ogni cultura, occorre dunque mettersi in guardia anche dagli eccessi di informazione - e dunque da informazioni spesso prive di senso e di meccanismi di controllo - con i quali la cultura del Novecento ha dovuto fare i conti. A fronte di un aumento delle informazioni disponibili, non sono più sufficienti i meccanismi di controllo a disposizione dei soggetti, i quali per gestire tali crescenti informazioni sono costretti ad affidarsi nuovamente alla tecnologia, innescando un circolo vizioso: la conseguenza è un "crollo generale della tranquillità psichica e della finalità sociale"42.
Anche se nei testi di Postman spesso si avverte la sensazione di una certa rassegnazione alla resa del soggetto di fronte al tecnopolio, non mancano strategie e proposte per la tutela dell'anthropos come uomo autonomo, consapevole, responsabile. Postman, pur ammettendo che di solito il critico della cultura ha più problemi che soluzioni, offre una "risposta ragionevole", rappresentata dalla "resistenza con amore". Per "amore" egli intende che occorre tenere a cuore le narrazioni e i simboli che hanno alimentato la cultura - nel caso specifico quella statunitense - nei secoli; riferendosi alla "resistenza" egli si augura che i soggetti divengano "militanti", che non accettino la tecnologia come parte dell'ordine naturale delle cose, ma che valutino ogni tecnologia come prodotto di un contesto economico e politico43. Si può trovare dunque nel concetto di "resistenza con amore" il legame tra il Postman sociologo e il Postman pedagogista-filosofo dell'educazione. Resistere con amore diviene la strategia omeostatica di un paradigma ecologico che aspira alla "ascesa dell'umanità". Un paradigma nel quale un ruolo fondamentale spetta all'istruzione e all'agenzia tradizionale e "conservatrice" per eccellenza: la scuola. L'istruzione ha infatti il compito sia di promuovere un "concetto generale di militante della resistenza", ma anche di aiutare i giovani a plasmare il proprio modo di esprimere tale concetto. Istruirsi, nell'ottica di Postman deve significare "diventare coscienti delle origini e dello sviluppo del sapere; significa conoscere bene i processi intellettuali e creativi che hanno reso possibile la produzione di quanto di meglio è stato pensato e detto"44 e, dunque, significa promuovere un "eccellente correttivo della natura antistorica, satura di informazioni e amante della tecnologia propria del tecnopolio"45.
4. Per un'educazione sovversiva
Come si è visto, nel 1966 Neil Postman scrive con Charles Weingartner Linguistics. A Revolution in Teaching. Formatosi alla Columbia University, Postman entra in contatto col filone di studi che fa capo, tra gli altri, a Mc Luhan, a Harold Innis e, in generale, ai Cultural studies nordamericani. È a partire dalla sua formazione linguistica che Postman decide di intraprendere gli studi sulla televisione e di inaugurare a New York nel 1971 il suo corso sulla Media Ecology. Il citato testo del 1966, che avvia Postman alla ricerca non soltanto nell'ambito linguistico ma anche in quello pedagogico, è seguito nel 1969 da Teaching as a Subversive Activity46, anch'esso pubblicato insieme a Weingartner. Il testo, di fronte alla constatazione dell'emergenza, sotto la "pressione" dell'innovazione tecnologica, di nuove questioni e nuovi problemi all'interno della società, si interroga su cosa è possibile fare per migliorare la situazione. Pur essendo molteplici gli "ambienti" (usando una definizione allargata del termine, potremmo dire i "media") nei/dai quali i soggetti assorbono modelli di comportamento, l'unico attore, o, meglio, l'unica agenzia, in grado di far fronte a questi nuovi problemi è la scuola47. Essa, unica istituzione della società "inflitta" ad ogni individuo48, se si fa consapevole del fatto che il cambiamento costituisce la caratteristica più rilevante del mondo contemporaneo, può diventare interprete di questo stesso cambiamento, progettando sistemi educativi e strutture scolastiche in grado di trasmettere ai giovani i concetti necessari per sopravvivere alle continue trasformazioni in atto. Occorre perciò valorizzare alcune "fonti" che sappiano mettere in atto una "terapia traumatica", per dare impulso ad un sistema educativo - nel caso specifico quello degli anni '60 statunitense - che di per sé non sarebbe in grado di procedere autonomamente ad una riforma49.
Anticipando i temi che verranno poi ripresi da Postman in Technopoly e in altri testi, gli autori parlano di insegnamento come "strategia per la sopravvivenza", che deve essere insegnata nella scuola. Essa deve servire principalmente come strumento utile ai giovani per sviluppare l'attitudine al pensiero e le capacità di formulare critiche che investano il campo sociale, politico e culturale. I giovani, secondo gli autori, dovrebbero mettere in atto una continua lotta contro il "ciarpame"50 e, spronati dalla scuola, dovrebbero essere incoraggiati a portare avanti quei valori che non sono considerati dalle altre principali istituzioni culturali. Scopo della scuola è dunque svolgere un'attività "anti-entropica", rendere i soggetti "parte della propria cultura", ma anche portarli ad "esserne al di fuori". Infatti il soggetto, se consapevole delle astrazioni arbitrarie e delle ideologie linguistiche di cui è intriso vivendo in una certa cultura, può diventare "sovversivo" rispetto alla tendenza omologante provocata dal cosiddetto ciarpame.
Postman e Weingartner chiariscono come queste finalità, che sono sempre state al centro dell'istruzione fin dall'invenzione della stampa, - la quale, come si è visto, ha determinato l'inizio dell'"età dell'informazione" - diventino ancora più urgenti di fronte alla diffusione dei mass media. Come si è visto, infatti, l'aumento di strumenti di comunicazione e la loro capacità di raggiungere capillarmente e efficacemente sempre più individui ha comportato un "eccesso informativo", provocando il paradosso per il quale la società dispone di un numero sempre maggiore di strumenti del comunicare e, al tempo stesso, di un di un numero sempre minore di idee importanti.
Partendo da autori quali Dewey e Whitehead, ma anche da alcuni scritti di Marshall McLuhan sull'educazione, Postman e Weingartner auspicano di rendere tutti consapevoli dell'esistenza di uno stretto rapporto tra il "fare" e l'"imparare". Piuttosto che rendere gli studenti in grado di indovinare cosa l'insegnante vuole che dicano, lo scopo dovrebbe essere formare allievi capaci di porsi nuove domande e, servendosi del metodo dell'indagine, di creare conoscenza. Tale metodo, come si è visto, impone anzitutto all'insegnante di mettere in discussione il suo ruolo: questi dovrà rivolgersi agli studenti principalmente mediante domande che pongano nuovi "problemi" agli studenti; non dovrà suggerire agli studenti cosa pensa che essi debbano sapere; non accetterà una sola affermazione come risposta ad una domanda; incoraggerà l'interazione tra studenti evitando di agire come mediatore o come giudice della qualità delle idee espresse; eviterà di riassumere le posizioni degli studenti sugli argomento che apprendono; imposterà le sue lezioni sulla base delle risposte degli studenti e non su una struttura "logica" preordinata; e, sostengono ancora gli autori, dovrà misurare il proprio successo in base al cambiamento intervenuto sul comportamento dei suoi studenti. Se l'insegnante partirà da questi e altri principi fondati sul metodo dell'indagine non sarà possibile parlare di "insegnamenti" non appresi, ma l'insegnamento sarà apprendimento e interverrà sui comportamenti e sui modi di pensare degli allievi51. Premesso che l'ambiente in cui avviene l'apprendimento è caratterizzato quattro elementi - secondo la definizione degli autori "quattro elementi critici"-, ovvero l'allievo discente, l'insegnante, la materia da imparare e le strategie per l'apprendimento, la tesi è che, affinché tale ambiente possa svolgere efficacemente la propria funzione, occorrono reciprocità e complementarità tra gli stessi elementi: "non esiste alcun modo per ottenere che un allievo sia disciplinato, attivo, completamente impegnato se egli non percepisce un problema come problema, o qualsiasi cosa da imparare come un'ottima cosa da apprendere, e se non ha un ruolo attivo nella determinazione del processo di soluzione"52.
Il modello pedagogico dei due autori, raccogliendo le istanze di altri pedagogisti del Novecento, punta così a valorizzare il ruolo dell'allievo nell'apprendimento e a favorire un intervento educativo "nuovo", che predisponga un ambiente capace di aumentare le capacità di costruzione del significato dei soggetti53. Tale scopo andrà dunque perseguito attraverso una particolare attenzione al linguaggio, il quale acquista così "un'importanza che in passato non ha avuto in nessuna filosofia dell'educazione"54. Lo studio del linguaggio a scuola deve vertere sui rapporti della lingua con la realtà, affinché lo studente possa "cominciare a sviluppare dei criteri in base ai quali potrà valutare le percezioni - sue o di chiunque altro"55. Porre la linguistica come strumento fondamentale all'interno della scuola, come chiave di lettura interdisciplinare e come grimaldello per un tipo di educazione "nuova" e "sovversiva", significa anche assegnare un ruolo fondamentale alla comunicazione all'interno della classe. Ispirati da Carl Rogers, e in particolare dal suo testo On Becoming a Person56, gli autori ritengono che l'insegnante debba farsi promotore di una comunicazione autentica ed efficace tra gli studenti: occorre dunque formare insegnanti che siano in grado di ascoltare gli studenti e di captare ciò che essi percepiscono come "rilevante". Se le capacità linguistiche e la comunicazione interpersonale hanno un ruolo fondamentale all'interno della scuola, si rende sempre più urgente - già dagli anni settanta del Novecento - una riflessione generale su tutti i mezzi di comunicazione, che diventi parte integrante di tutte le lezioni57. Tale urgenza risponde anche all'esigenza di promuovere una "nuova educazione", la quale abbia il proposito di sviluppare "un nuovo tipo di persona che [...] sia capace di indagine, sia flessibile, creativa, innovatrice, tollerante, liberale e possa affrontare l'incertezza e l'ambiguità senza disorientarsi, e formuli nuovi significati operativi adeguati ai cambiamenti nell'ambiente che minacciano la sopravvivenza individuale e collettiva"58. La "nuova educazione" dovrebbe quindi avere come scopo anche quello di evitare che gli sviluppi e l'evoluzione dei processi di informazione elettronica rendano la scuola, così come essa è attualmente, "del tutto inutile" per i soggetti. Se i nuovi mezzi e le nuove forme di comunicazione intervengono sull'ambiente e si pongono come "mediatori di percezioni", allora ogni intervento di istruzione e di educazione deve tener conto del contesto nel quale si va ad operare: dei nuovi mezzi di comunicazione occorre studiare non soltanto il "contenuto", ma "deve essere compreso l'effetto percettivo e cognitivo che la forma di questi nuovi linguaggi esercita su di noi"59.
L'educazione, dunque, diviene nuova e sovversiva non tanto per gli strumenti che utilizza o per le tecnologie con le quali cerca di sostituire le vecchie organizzazioni scolastiche, ma per il modo di comprendere ed utilizzare tali "tecnologie didattiche": queste devono essere usate "ma solo per aiutare gli allievi ad apprendere [...] delle strategie per la sopravvivenza in un mondo che cambia rapidamente"60.
5. Il ruolo omeostatico della scuola: la media ecology
Tutti i temi legati al rapporto tra strumenti di comunicazione ed educazione vengono ripresi ed approfonditi da Postman nel suo celebre testo del 1979 Ecologia dei media. Qui egli parte dall'identificazione dei mezzi di comunicazione, e in particolare della televisione, come un "curriculum". Inteso un curriculum come un "sistema particolare d'informazioni, avente, nella sua totalità, lo scopo d'influire, insegnare, addestrare, coltivare la mente e il carattere della nostra gioventù"61, al pari della scuola, anche la televisione ha ed è un curriculum. Esse, scuola e televisione appunto, hanno un curriculum nel senso che organizzano il tempo e lo spazio secondo direzioni specifiche e definiscono in forme diverse il sapere. Esse però sono anche un curriculum, in quanto offrono "ambiente" e "stili" caratteristici, contesti e parametri per la formazione dei soggetti. Postman va oltre questa equiparazione tra scuola e media come agenzie formative, sostenendo che il "primo curriculum" - in senso "gerarchico" - è proprio quello televisivo, in quanto, per le sue caratteristiche semiologiche, vanta una maggiore diffusione e una maggiore efficacia rispetto a quello scolastico. L'informazione, spiega Postman, può essere codificata in forma analogica o in forma digitale: mentre nelle forme analogiche (nelle quali rientra il linguaggio televisivo) i sistemi di codificazione hanno un rapporto diretto con quello che significano, le forme digitali (come ad esempio il linguaggio verbale) sono astratte e non hanno alcuna corrispondenza diretta con la natura. Ogni linguaggio è una forma digitale di informazione, che consiste in piccole unità di significato che traggono origine da "complesse convenzioni umane". L'informazione veicolata dalla televisione per Postman essendo codificata in forma prettamente analogica, si fonda su significati che traggono origine dalle percezioni umane delle "struttura della natura" e dalla "capacità d'imitarne le forme"62.
Il Postman "linguista" offre dunque una chiave di lettura interessante ai Media Studies: uno dei principali motivi del conflitto esistente tra scuola e media (e in particolare tra scuola e televisione) deriverebbe proprio dal fatto che l'immagine "concreta, unica, non parafrasabile", si contrappone alla parola "astratta, concettuale, traducibile". La televisione impegna al massimo le emozioni dei fanciulli, a scapito dalla loro capacità di astrazione, che invece rimarrebbe passiva: "nell'esperienza televisiva, invece, si richiede di sentire quello che si vede"63. Usando come fonte primaria di informazione il linguaggio, il curriculum scolastico ha al contrario uno stile di insegnamento espositivo, si occupa di fatti e di argomentazioni e che si fonda sull'importanza del "distacco", dell'"obiettività", dell'"analisi" e della "critica". Il curriculum televisivo - che, per usare le parole di Postman, è non soltanto "estetico" ma perfino "religioso"64 - ha come fonte primaria l'immagine e, dunque, utilizza uno stile di insegnamento narrativo, che agisce a livello emotivo sui soggetti e che si serve di moduli di apprendimento brevi, concisi e non sequenziali. Le influenze del curriculum televisivo sono studiate da Postman non soltanto a livello culturale e sociologico, ma anche psicologico e fisiologico: egli sostiene che l'immersione in forme analogiche amplifichi l'emisfero destro del cervello - deputato alle funzioni non-linguistiche e non-logiche-, inibendo le funzioni dell'emisfero sinistro, ove sono collocate le capacità di parlare, scrivere e contare. Oltre che psicologiche, sarebbero dunque anche fisiologiche le ragioni per le quali le capacità linguistiche delle giovani generazioni vanno diminuendo:
l'ambiente dell'informazione elettronica, con la televisione al centro, è fondamentalmente ostile a modi di espressione concettuali, segmentati, lineari, cosicché tanto lo scrivere quanto il parlare perdono parte del loro potere65.
Consapevole con Bertrand Russell che il linguaggio non serve soltanto ad esprimere il pensiero, ma anche a rendere possibili i pensieri, Postman ritiene che l'educazione linguistica rappresenti il primo passo di un'educazione che, paradossalmente, è al tempo stesso "rivoluzionaria" e "conservatrice". Questa concezione dell'educazione, che sembra quasi un ossimoro, è alla base della prospettiva pedagogica di Postman. Egli muove soprattutto dalla constatazione del fatto che, di fronte all'imperare del "primo curriculum", vi è soltanto un mezzo di comunicazione di massa da opporre: la scuola. Essa, rispetto all'imperare dell'amunsing to death, rappresenta un'attività che, seppur "conservatrice", risulta "sovversiva", in quanto coltiva il pensiero critico e dunque offre una strategia di resistenza e una via di salvezza.
Il riferimento all'ecologia arriva dalla lettura di Norbert Wiener e di altri autori che chiariscono il concetto di cibernetica. Proprio partendo dalle constatazioni di Wiener - per il quale in The Human Use of Human Beings66, essendo radicalmente cambiato l'ambiente in cui vive, l'uomo ha adesso l'esigenza di modificare se stesso per vivere una "nuova realtà" - Postman e Weingartner già in L'insegnamento come attività sovversiva anticipano i concetti di omeostasi e di ecologia. Mentre in un ambiente di tipo statico, come quello in cui l'uomo ha vissuto fino al XIX secolo, la sopravvivenza dipendeva dalla conservazione e dalla trasmissione delle strategie (potremmo dire dalle "forme culturali") sviluppate in passato, "quando il cambiamento diventa la caratteristica principale dell'ambiente [...] la sopravvivenza in un ambiente in rapido cambiamento dipende quasi interamente dal fatto di essere in grado di stabilire quali dei vecchi concetti sono rilevanti rispetto alle necessità derivanti dalle nuove minacce alla sopravvivenza, e quali non lo sono"67. Come nella biosfera la tecnologia e la scienza introducono mutazioni che mettono a repentaglio la vita dell'uomo, allo stesso modo nella "noosfera" o nella "semiosfera"68 avvengono cambiamenti che spiazzano e che mettono in pericolo l'anthropos. Nell'antinomia tra "conservazione" e "sovversione", Postman definisce così anche l'esigenza di nuovi compiti didattici. Dalla necessità di far "dimenticare selettivamente", ovvero di far "disimparare al gruppo i concetti irrilevanti"69 e di sovvertire i metodi educativi, all'esigenza di rilanciare il ruolo tradizionale e "conservatore" dell'insegnamento scolastico. Sia che l'insegnamento si ponga come subversive activity (nel testo del 1969), sia che venga inteso come conserving activity (nel Postman dell'Ecologia dei media: 1979), rimane costante la convinzione che il sistema scolastico sia (o dovrebbe essere) l'unica istituzione sociale esistente in grado di svolgere la funzione di cambiare il pensiero della civil-tà nonostante l'esponenziale velocità dell'evoluzione tecnologica, "aiutando esplicitamente gli studenti a fare propri i concetti rilevanti per le nuove esigenze dell'ambiente"70. Compito principale della scuola è infatti quello di "riconoscere il mondo in cui viviamo attualmente e, al tempo stesso, di darci una mano per padroneggiare i concetti che aumenteranno la nostra capacità di operare al suo interno"71.
Un esempio di come il paradigma ecologico della formazione possa (e debba) essere applicato ai media è offerto da Postman nel testo, scritto nel 1992 a quattro mani col giornalista televisivo Steve Powers, How to watch TV news72: partendo dal presupposto che occorra distinguere i "fatti" della realtà da ciò che viene effettivamente riportato, gli autori sostengono che per prepararsi alla visione di un telegiornale "bisogna per prima cosa preparare la propria mente con molte letture"73. Se i media rappresentano una possibile fonte di conoscenza e di informazione, occorre che questa non sia l'unica, anzi si richiede un approfondimento che provenga da altre fonti un "riequilibramento" ad opera del pensiero critico. Ovvero di un pensiero che - per Postman - non può essere sviluppato dalla cultura mediatica, ma che deve essere coltivato dalla tradizione scolastica.
Per una corretta alfabetizzazione al linguaggio televisivo (dei telegiornali, ma più in generale di tutto il medium) si rende necessario un percorso extramediatico, da portare avanti possibilmente nelle scuole, che proceda in varie direzioni: una approfondita conoscenza del medium e delle modalità (le strutture e le funzioni) mediante le quali esso si fa "messaggio"; una riflessione su cosa effettivamente è notizia e sul problematico rapporto che intercorre con un avvenimento; un ampio sguardo d'insieme sul "baraccone" mediatico all'interno del quale il telegiornale si inserisce, che fa sì che "in televisione [...] l'apparenza è più importante della realtà"74; il riconoscimento del ruolo vitale che la pubblicità riveste per i contenuti televisivi, telegiornali compresi; una riflessione su come i telegiornali vengono realizzati, portando (fisicamente o idealmente) gli studenti-telespettatori dietro le quinte, rendendoli partecipi di cosa significa realizzare un notiziario televisivo, quali professionisti e quali tecnici vi partecipano; una riflessione sul linguaggio, sulle "funzioni segniche" e sui rapporti tra denotazione e connotazione che entrano in gioco in un notiziario, ma anche su come il linguaggio delle immagini integri quello verbale (e viceversa)75.
Il paradigma "ecologico" è alla base anche dell'ultimo testo in ordine cronologico, in cui Postman si occupa di pedagogia e di riflessioni da filosofo dell'educazione: The End of the Education (1996). Il volume, tradotto in italiano nel 1997, già nel sottotitolo suggerisce che il suo scopo è quello di "ridefinire il valore della scuola" e riprende e integra gran parte delle riflessioni che l'autore ha svolto durante il suo percorso accademico76. Tornando sul tema, Postman chiarisce una differenza sostanziale che non era stata messa a fuoco nei testi precedenti: se da un lato l'istruzione - sia essa sovversiva o conservatrice - è un'attività circoscritta e localizzabile in determinate istituzioni, l'educazione è "spietata", "non ci dà pace" e "poiché non ha confini e rifiuta di essere ignorata, insegna soprattutto la disperazione". Al di là della scuola, ci sono altre "agenzie" che per Postman "educano": in primis i media, ma, insieme ad essi, deve essere inclusa ogni esperienza con la quale il soggetto entra in contatto, partecipano alle azioni di ex-ducere (tirare fuori) e di edere (nutrire) che si rintracciano nell'etimologia del verbo. Preso atto delle trasformazioni avvenute al contesto e all'ambiente nel quale ogni soggetto abita, cresce, si forma e si istruisce, e confermata la convinzione che la scuola sia l'unica agenzia che può guidare i soggetti nel cambiamento, l'itinerario di ricerca di Postman si concentra sulle strategie - ma anche: sugli strumenti e sulle finalità - che la scuola, alle porte del nuovo millennio, deve mettere in atto per assolvere veramente (ed efficacemente) al suo ruolo. La problematicità e la preferenza dell'autore per le domande rispetto alle risposte è testimoniata anche dalla sfumatura di ambiguità che il vocabolo "fine" attribuisce al titolo del volume. Come spiega Postman, la parola "ha almeno due importanti significati: 'obiettivo' e 'conclusione'. Entrambi i significati possono adattarsi al futuro della scuola, dipenderà dall'eventualità di un serio dibattito sui suoi scopi"77.
L'interrogativo se la scuola sia destinata a sopravvivere rappresenta ovviamente per Postman una domanda è retorica: la risposta viene confermata dalle parole dello stesso autore78, per il quale tematizzare le problematiche alle quali essa è esposta significa mettere in atto quella strategia di "resistenza" e di "sopravvivenza" già descritta in altri testi. Realizzare l'istruzione dei giovani, oggi, pone di fronte a due macroproblemi: il primo, su una dimensione "ingegneristica", impone di valutare quali siano gli strumenti adatti a favorire l'apprendimento e di comprendere in quali luoghi, in quali tempi e in quali modi può più efficacemente realizzare questo compito; il secondo, ad una dimensione "metafisica", porta alla necessità di prendere consapevolezza dell'esigenza per i giovani in formazione di trovare una "ragione". Tale vocabolo per Postman è da preferire al concetto di "motivazione" che, seppur prezioso, è sempre temporaneo e si fonda principalmente su curiosità ed attenzione: "perché la suola abbia un senso i giovani (e i loro insegnanti) devono avere un dio da servire, o ancora meglio, diversi dei. Se non ne hanno nessuno, la scuola è inutile"79. Se i tradizionali "racconti" che hanno costituito degli ideali, offrendo per decenni una fonte di autorità, sono entrati in crisi nel corso del Novecento, i "nuovi dei" - dal "dio del Consumo" al "dio dell'Utilità Economica", al "dio della Tecnologia" - non sono in grado di offrire una ragione profonda, né per l'apprendimento né, più in generale, per la vita. La condizione del "tecnopolio" esemplifica proprio l'insufficienza del "racconto" tecnologico di fronte al tentativo di dare significato al mondo e l'esigenza per la scuola di fondarsi su altre narrazioni condivise, capaci di offrire un'ispirata ragione per l'insegnamento. Opponendosi alla Tecnologia come "imperativo metafisico" e denunciando il rischio di un'adorazione tecnologica che produca inganni, Postman identifica la scuola come l'(unica) agenzia in grado di dare risposte concrete e in grado di collocare gli allievi in un ambiente contraddistinto da collaborazione, sensibilità e rispetto verso gli altri.
Mentre la tecnologia può essere entrata nelle scuole, Postman denuncia alla fine del XX secolo la difficoltà di diffondere all'interno del contesto scolastico l'"educazione alla tecnologia": strettamente connessa alla Media Ecology e al modello ormai planetario della Media Education, per Postman essa sarebbe una metadisciplina, chiamata ad interrogarsi sulle modalità attraverso le quali "i significati dell'informazione e dell'istruzione cambiano mentre le nuove tecnologie si introducono nella cultura"80 e, ancora, sulle modalità in cui "i significati della verità, della legge e dell'intelligenza differiscono fra le varie culture dell'oralità, della scrittura, della pittura, dell'elettronica"81. La Media Ecology - sia che si traduca in "educazione ai media" o "educazione alla comunicazione" o "educazione alla tecnologia"-, pur mettendo in guardia i soggetti dai modi in cui gli strumenti in passato e nel presente usano e hanno usato l'uomo, non ha finalità moralizzatrici o protezionistiche, ma deve rendere tutti consapevoli che la tecnologia crea nuovi mondi e che è necessario trovare "ragioni" (nel senso di "fini") altre, da rintracciare non soltanto nella tecnologia e nella tecnica, ma anche nella cultura scritta e tipografica e nel passato, per dare un telos autenticamente formativo ed emancipativo alla scuola e all'istruzione. E per formare soggetti - uomini, individui, cittadini - critici, autonomi e consapevoli nei loro rapporti con la realtà.
6. Attualità di Neil Postman
Come già fatto notare, in pedagogia e in sociologia negli ultimi anni raramente gli scritti di Neil Postman sono stati ritenuti utili per interpretare la continua trasformazione tecnologica in atto. Piuttosto, i suoi contributi sono stati spesso etichettati come obsoleti, come "apocalittici" o comunque poco adatti per interpretare l'immersione del soggetto in formazione in contesti tecnologici sempre più innovativi. Questa sintetica ricostruzione dell'itinerario di ricerca dello studioso statunitense ha cercato invece di far notare come, secondo varie direzioni, egli possa essere un interprete ancora attuale, capace di cogliere la pregnanza del nesso tra educazione e comunicazione e, al tempo di stesso, di orientare, secondo la missione della pedagogia e della filosofia dell'educazione, i contributi di varie scienze umane verso finalità formative.
In primis, può risultare particolarmente utile rilanciare la dimensione della ricerca nella scuola: intendere l'insegnamento come "indagine" e fondare ogni disciplina su un atteggiamento scientifico e su una riflessione linguistica e metalinguistica possano essere strategie efficaci per valorizzare la scuola alla luce del suo ruolo emancipativo e formativo. E strategie ancora più efficaci oggi, per sfruttare al meglio il potenziale "connettivo" e "partecipativo" delle nuove tecnologie, ma anche per evitare che tali tecnologie si rivoltino contro l'uomo stesso: coltivare la dimensione della ricerca in ogni disciplina scolastica significa infatti permettere ai soggetti di partecipare attivamente al processo di acquisizione/costruzione di conoscenze e competenze e di formarsi autonomamente, riflessivamente e criticamente.
La stessa antinomia tra la funzione "conservatrice" e "sovversiva" della scuola è assolutamente rilevante oggi per la riflessione pedagogica: tra gli scritti di Postman ricorre infatti la dialettica tra innovazione e tradizione, tra trasmissione e costruzione della conoscenza, tra consolidamento della cultura e "opposizione" o perfino "rivoluzione". Ad esempio, se la riflessione metalinguistica conduce Postman a sostenere che ogni insegnante dovrebbe essere, anche, un insegnante di lingua, si rende necessario far sì che la linguistica diventi uno strumento capace di rendere i soggetti consapevoli del proprio modo di confrontarsi con la realtà: essa è sia strumento "conservativo" che "rivoluzionario", in quanto ha una natura arbitraria e si fonda su convenzioni stabilite culturalmente, ma è al tempo stesso un canale di innovazione. Studiare la lingua oggi, infatti, significa confrontarsi con tutti i linguaggi che contrassegnano la vita dei soggetti e assolvere una funzione omeostatica rispetto alle trasformazioni sociali e tecnologiche: significa, dunque, studiare tutte le forme espressive, a partire dalla comunicazione non verbale, passando ovviamente per il testo scritto per arrivare fino ai linguaggi multimediali delle nuove tecnologie.
L'approccio linguistico e metalinguistico di Postman auspica anche la diffusione un atteggiamento critico-riflessivo nella scuola: ogni insegnante, di ogni disciplina, dovrebbe favorire classe anche una alfabetizzazione ai linguaggi comunicativi (tutti) e una solida presa di coscienza di quanto sia fondamentale il loro ruolo per la vita di ogni soggetto: tale consapevolezza può far sì che la scuola non soltanto sia in grado di trasmettere conoscenze e informazioni, ma anche diventi in grado di "coltivare" criticità e creatività in ogni alunno.
Postman, sulla scia di molti autori, riconosce alla comunicazione un ruolo fondamentale, oltre che per la formazione di ogni individuo, anche per la trasformazione e per la diffusione della cultura nella società: se è stata una rivoluzione comunicativa (la diffusione della stampa) a favorire la nascita e l'affermazione dell'"idea" e del "sentimento" dell'infanzia, nuovi "strumenti del comunicare" (i media elettronici) hanno provocato la scomparsa di tale sentimento e, in taluni casi, la "negazione" dell'idea stessa di infanzia. Il bersaglio dell'analisi storico-critica di Postman, agli inizi degli anni ottanta, era la televisione: tale medium, a dispetto di tante previsioni che lo vedevano destinato ad estinguersi rapidamente, continua ad essere tra i più utilizzati e, anche se si è trasformato e continua a trasformarsi - dalla televisione satellitare alla televisione digitale, per arrivare fino all'integrazione/convergenza con altri media-, spesso continua a re-mediarsi mantenendo intatte le consuete strutture e funzioni. Così, spesso, accentua sempre più la sua tendenza a "negare" l'infanzia, a mostrarla in modo eccessivo, ad "adultizzarla" o ad "utilizzarla" con finalità commerciali; e, contemporaneamente, continua a rivolgersi (e ad alimentare) il modello di un bambino-adulto, che comporta non soltanto l'avvicinamento dell'età infantile a quella adulta, ma anche il processo opposto. A più di trent'anni dalle analisi di Postman, la televisione, sebbene sia sempre presente (e non sia certo in "seconda fila") tra i canali comunicativi delle vite quotidiane dei soggetti, è stata affiancata da nuovi strumenti che, pur senza sostituirla, la integrano e offrono al soggetto una sempre maggiore ricchezza informativa. Le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione - talmente variegate da rendere difficile una riflessione generale sulle loro caratteristiche e da rendere complessa e problematica la definizione spesso usata di new media - forse possono potenzialmente favorire sia una nuova "scoperta" che, al tempo stesso, una ulteriore "scomparsa" dell'infanzia: un riconoscimento delle sue specificità ma anche una sua banalizzazione, una valorizzazione ma anche una negazione, nuove forme di cura e di tutela, ma anche nuove minacce e nuove "violenze".
Secondo il filone di studi che parla di digital natives, i bambini nati in un epoca contrassegnata dalla comunicazione digitale sarebbero in grado di confrontarsi con le nuove tecnologie in modo già più "esperto" degli immigrants (ovvero, gli adulti). Si tratta di studi rilevanti e attuali, a patto che non cadano nella tentazione di sopravvalutare le competenze critiche dei ragazzi e che non confondano l'uso tecnico con la spiegazione/comprensione critica delle stesse tecnologie. Se è vero che le nuove tecnologie possono essere risorse fondamentali per la crescita dei ragazzi, occorre però farsi consapevoli che questi necessitano di una corretta alfabetizzazione (e di un'alfabetizzazione critica) a questi linguaggi, messa in atto dalla scuola e dal "mondo adulto" o comunque da un curriculum "altro" rispetto al "primo" (ovvero la televisione e i media elettronici). Anche se può essere una forzatura attualizzare oggi le tesi di Postman sulla "scomparsa dell'infanzia", in quanto queste rimangono legate principalmente alla diffusione della televisione e sono relative soprattutto alla società statunitense, ciò non significa che queste siano obsolete o poco rilevanti per altri contesti storici e culturali: tali tesi rappresentano infatti un esempio di come l'intellettuale - sociologo, pedagogista, letterato, ecc. - debba agire da "omeostato" e dunque interrogarsi sulle modalità in cui gli strumenti comunicativi (tutti: dal corpo alla parola parlata, dal testo scritto ai linguaggi multimediali, dalla televisione ai new media) cambiano l'habitat - la semiosfera e la noosfera - nel quale i soggetti abitano e come, in un'ottica di "ecologia della formazione", sia sempre necessario anche un intervento "conservatore" in grado di garantire una forma di equilibrio che rispetto l'uomo.
Queste analisi sulla scomparsa sull'infanzia si collegano strettamente a quelle sociologiche contenute in varie volumi: sostenendo che il Brave New World di Huxley abbia tratti di somiglianza con quello moderno, Postman si espone direttamente al rischio di essere etichettato come "apocalittico". Tuttavia, anche se la società digitale e la società delle reti hanno affiancato e stanno sostituendo la società televisiva degli anni ottanta, è innegabile è che il "modello-Las Vegas" sia ancora spesso imperante, nella "neotelevisione" così come nella vita quotidiana di molti paesi occidentali o occidentalizzati. Il paradigma dell'entertainment, profetizzato nell'antiutopia del "mondo nuovo", si è affermato stabilmente nella cultura contemporanea: non soltanto nei prodotti culturali esplicitamente destinati allo svago, ma anche nei telegiornali, nei documentari, negli approfondimenti, nei siti tematici. L"infotainment", spesso governato dal mercato, strizza l'occhio ai gusti del pubblico, ma al tempo stesso li determina e li consolida secondo i meccanismi dell'industria culturale. L'ossimoro, coniato da Adorno e Horkheimer e utilizzato anche da Morin, può essere uno strumentato interpretativo anche delle nuove tecnologie, che pur assegnando un ruolo attivo (o meno passivo) all'utente, comunque spesso non risolvono le commistioni tra industria e cultura, tra potere e sapere, tra comunicazione e mercato. I new media sono sì strumenti che favoriscono la comunicazione e l'aggregazione tra soggetti e la diffusione di conoscenze, ma tale potenziale rischia di non attualizzarsi se le nuove forme di comunicazione e di aggregazione e le "nuove conoscenze" non vengono analizzate e comprese secondo nuovi parametri: ad esempio, se i social network favoriscono la formazione di comunità e scambio di idee e di opinioni, occorre rilevare come spesso si tratti di comunità e di relazioni sociali effimere, e raramente destinate a durare nel tempo. Inoltre, si può notare come quella "delle reti" sia una società che aumenta le possibilità di accedere alla conoscenza e all'informazione, ma tale aumento corre il rischio di trasformarsi in sovraccarico e, spesso, sbilanciandosi troppo sul presente, non ha memoria di sé e tende a cancellare il passato. O, ancora, attraverso una riflessione diacronica sul concetto di "infanzia", si può notare qualche somiglianza tra il mancato riconoscimento della specificità infantile tipico dell'epoca medievale e quanto avviene in modo sempre più diffuso tra i nuovi media. Come nella città medievale il bambino era un attore sociale non (o "poco") differenziato rispetto all'adulto, ugualmente la navigazione sulla Rete è spesso priva di filtri (o con filtri poco efficaci) e di controllo: il che può significare nuove possibilità di fare-esperienza e un incremento di autonomia nei bambini, ma, in assenza di una mediazione adulta, può significare anche nuovi "smarrimenti" e nuovi "rischi".
Queste riflessioni possono essere ricondotte alla denuncia sulla condizione attuale di "tecnopolio" alla quale è esposto l'uomo. Parlando di "sovranità della tecnica" Postman sostiene una tesi radicale, forse provocatoria, ma che non può essere liquidata come se fosse semplicemente "apocalittica". Il tema richiede di essere approfondito in ambito educativo, in ambito sociologico, psicologico, antropologico, etico, etc.: la "deificazione" della tecnologia, che egli riconosceva nella società statunitense, è diventata ormai planetaria, almeno nei paesi sviluppati e in quelli in via di sviluppo, dunque il rischio, già denunciato da Heidegger e altri autori nel corso del Novecento, che la Tecnica diventi strumento di Dominio sull'Uomo è più che mai attuale. Postman, pur collocandosi tra gli autori critici, e radicalmente critici, cerca di offrire un punto di vista neutrale sull'argomento, sostenendo che la tecnologia non aggiunge né sottrae, ma cambia l'habitat dell'uomo e altera gli equilibri della sua esistenza: per questo, senza farsi prendere da facili entusiasmi o da (altrettanto facili) sguardi demonizzatori, occorre studiare e padroneggiare ogni tecnologia, per far sì che possa diventare uno strumento utile per l'uomo. La proposta di Postman, di fronte al tecnopolio, è che occorra mantenere e valorizzare tutte quelle agenzie - la scuola in primis - in grado di conservare, trasmettere e valorizzare il sapere tradizionale e attraverso tale sapere occorra leggere e interpretare le innovazioni tecnologiche.
Se si è detto del Postman critico-radicale - per alcuni autori perfino "apocalittico" - della cultura mediatica, tra i suoi scritti possiamo rintracciare anche alcune tesi che ne mettono in luce una prospettiva più "integrata": pur senza mai sbilanciarsi troppo o farsi coinvolgere dalla "deificazione" delle nuove tecnologie, Postman sostiene che esse possano rappresentare una fondamentale risorsa per la formazione dei soggetti. I media, infatti, possono favorire la cooperazione, l'apprendimento collaborativo, la costruzione collettiva della conoscenza, la democratizzazione del sapere e la diffusione di nuove modalità conoscitive per i soggetti. Sono però tutte caratteristiche "potenziali", non strutturali e non indipendenti dall'uso che di tale tecnologie viene fatto: affinché le potenzialità non si trasformino in conseguenze negative, occorre porre gli strumenti al servizio dei compiti dell'educazione, non porre l'uso della tecnologia come finalità dell'intervento educativo.
Tutti gli strumenti di comunicazione, secondo l'insegnamento di Postman, sono una risorsa. Ma, così come parlando di "nuova educazione", determinante è il metodo, non lo strumento che viene utilizzato per insegnare, al tempo stesso i media possono arricchire il metodo, ma non "diventare metodo". Il metodo di insegnamento, che, come si è visto, preferibilmente dovrebbe essere fondato sull'indagine e sull'atteggiamento scientifico, servendosi di nuovi supporti può arricchire e rendere ancora più efficaci le tecnologie tradizionali (la parola parlata, il testo scritto, eccetera). I nuovi strumenti debbono dunque essere inseriti nella scuola, senza né demonizzazioni né sopravvalutazioni, ma devono rispondere alle consuete finalità degli strumenti tradizionali: ovvero aiutare l'insegnante a mettersi in discussione, favorire la partecipazione degli allievi, portarli a diventare ricercatori di conoscenza e protagonisti attivi dei propri processi di educazione, istruzione e formazione.
La ricerca di Postman rappresenta dunque un esempio dello strettissimo rapporto che deve intercorrere tra scienze dell'educazione, pedagogia e filosofia dell'educazione. L'autore statunitense assume, miscela ed orienta le "fonti" rappresentate dalle sue analisi linguistiche, storiche, psicologiche e sociologiche, disponendole secondo una curvatura educativa/formativa; e, al tempo stesso, attraverso il suo sguardo ecologico opera una riflessione ad un livello "meta" e procede all'analisi dei "temi/problemi" attuali dell'educazione secondo un'ottica filosofica, che "regola" il discorso pedagogico, "anima" le sue costruzioni problematiche e "orienta" secondo un'intenzionalità formativa. Ponendo l'accento (oltre che sul "rischio della fine") sul "fine" e sugli scopi dell'educazione scolastica contemporanea, Postman sostiene la necessità di rendere il soggetto un "abitante" e un "cittadino" critico e consapevole di tutti gli ambienti nei quali è chiamato a vivere. Le idee della "resistenza con amore" e dell'"ecologia dei media", lungi dall'essere tesi apocalittiche, sono dunque oggi assolutamente attuali: vista la profonda alterazione che i nuovi media comportano all'universo simbolico nel quale ogni soggetto è inserito, vista la velocità esponenziale alla quale procede l'innovazione tecnologica, si ritiene necessario attribuire un ruolo fondamentale alla scuola. Essa deve essere intesa come "controcanto", come "garante" ecologico, come strumento sia conservativo (dei saperi tradizionali che non devono andare smarriti) sia sovversivo (per evitare l'imprigionamento ideologico). Ancora, e oggi in modo ancora più efficace, come vettore di istruzione, di educazione e, soprattutto, di formazione.
Neil Postman has offered valuable contributions to the reflection about the relationship between media and education. His analyzes, capable to establish a dialogue between some disciplines (linguistics, sociology, history, psychology, pedagogy, etc.), were not enough considered in the theoretical model of Media Education. The aim of the text is to decline the Postman's investigation considering the role of Media Ecology as a current and necessary strategy, also today with the new medias.
1 A. Huxley, Il mondo nuovo, Milano, Mondadori, 1933.
2 N. Postman, C. Weingartner, La linguistica, Roma, Armando, 1968.
3 N. Postman, C. Weingartner, La linguistica, cit., p. 48.
4 Ivi, p. 20.
5 "Ciò non soltanto perché la ricerca è soprattutto un'operazione di linguaggio, ma anche perché tutte le materie scolastiche sono un fatto di linguaggio" (Ivi, p. 50).
6 Come scrivono Postman e Weingartner in un altro testo, "la maggior parte degli uomini, col tempo, imparano a rispondere con fervore e spirito di obbedienza a un insieme di astrazioni verbali che essi sentono come capaci di fornir loro un'identità ideologica. [...] Un'incapacità di comprendere gli effetti inconsci delle nostre metafore 'naturali', ci condanna a prospettive ottiche altamente ristrette, e di conseguenza a comportamenti estremamente limitati" (N. Postman, C. Weingarner, L'insegnamento come attività sovversiva, Firenze, La Nuova Italia, 1973, pp. 5-6).
7 N. Postman, Technopoly, Torino, Bollati Boringhieri, 1993, p. 114.
8 Ivi, p. 115.
9 Per gli autori la riflessione linguistica risulta utile e determinante se riesce a portare gli allievi a riflettere sulla grammatica, sui vari usi della lingua, sulla semantica, sulla lessicografia, sulla geografia linguistica e sui processi di lettura. È fondamentale che gli studenti comprendano la necessità di parlare di "grammatiche al plurale", diventino consapevoli che le descrizioni della struttura di una lingua, come svelano gli studi di grammatica descrittiva prima e di grammatica generativa poi, non sono naturali, ma sono "inventate" e sono "scritte" da esseri umani, e dunque di natura arbitraria e convenzionale, prodotti dagli uomini e governati molto più da fattori psicologici e fisiologici che da fattori puramente logici.
10 "Il materiale di lettura fornito dall'autore è come un piano di costruzione e [...] ogni lettore costruisce secondo il piano una costruzione che nei particolare è esclusivamente sua propria" (N. Postman, C. Weingartner, La linguistica, cit., p. 230)
11 Si vedano in particolare i testi U. Eco, Opera aperta, Milano, Bompiani, 1962; U. Eco, Lector in fabula, Milano, Bompiani 1979 e U. Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Milano, Bompiani, 1994.
12 Ivi, p. 243.
13 Ibidem.
14 Il testo è stato tradotto in italiano nel 1984 da Armando col titolo La scomparsa dell'infanzia.
15 Cfr. F. Cambi, C. Di Bari, D. Sarsini, Il mondo dell'infanzia, Milano, Apogeo, 2012.
16 In primis, dal citato Ph.Ariès, Padri e figli nell'Europa medievale e moderna, Bari, Laterza, 1968 e da L. deMause (a cura di), Storia dell'infanzia, Milano, Emme, 1983, ma anche da B. W. Tuchman, A Distant Mirror, Knopf, New York, 1978; E. Havelock, Origins of Western Literacy, Ontario Inst. for Studies in Education, Toronto, 1976; E. L. Eisenstein. La rivoluzione inavvertita, Bologna, Il Mulino, 1985, H. Innis, Le tendenze della comunicazione, Sugar, Milano, 1982, N. Elias, Il processo di civilizzazione, Bologna, Il Mulino, 1982.
17 Ivi, p. 30.
18 Ivi, p. 53.
19 Ivi, p. 83.
20 Ivi, p. 97.
21 "I bambini sono praticamente scomparsi dai mass-media, specialmente dalla televisione [...] Non intendo dire, ovviamente, che essi non si possono vedere fisicamente, ma che sono mostrati e raffigurati come adulti in miniatura, alla maniera di certi dipinti del tredicesimo o del quattordicesimo secolo" (Ivi, p. 151).
22 Ivi, p. 126.
23 N. Postman, Divertirsi da morire, Venezia, Marsilio, 2002, pp. 15-16.
24 "La stampa ha promosso una definizione di intelligenza che ha dato priorità all'uso obiettivo, razionale della mente e nello stesso tempo ha incoraggiato forse di discorso pubblico con un contenuto serio e ordinato logicamente. Non è un caso che l'Età della Ragione abbia coinciso con la crescita di una cultura fondata sulla stampa, prima in Europa e poi in America" (Ivi, p. 18).
25 J. Baudrillard, Il delitto perfetto, Milano, R. Cortina, 1996.
26 N. Postman, Divertirsi da morire, cit., pp. 98-99. Continua Postman: "I mezzi di comunicazione, tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, con il telegrafo e la fotografia in prima file, hanno dato vita al mondo del 'cucù!', ma a nessuno è venuto in mente di viverci dentro fino quando non è arrivata la televisione. La televisione ha dato la massima espressione alle inclinazioni epistemologiche del telegrafo e della fotografia, portando l'interscambio tra l'immagine e l'istantaneità. [...] la televisione è il centro della nuova epistemologia" (Ibidem).
27 Cfr. R. Barthes, Miti d'oggi, Milano, Lerici, 1962.
28 "Con tutta la sua perspicacia, George Orwell sarebbe rimasto spiazzato da questa situazione, così poco 'orwelliana' [...] Aldous Huxley non si stupirebbe. Lo aveva profetizzato. Credeva più probabile che le democrazie occidentali avrebbero danzato e sognato nell'oblio, piuttosto che marciato ben alleneate e incatenato. Huxley aveva intuito, diversamente da Orwell, che non è necessario nascondere nulla a un pubblico insensibile alle contraddizioni e narcotizzato dai diversi tecnologici. Benché Huxley non abbia specificato che la televisione sarebbe diventata la nostra droga principale, non avrebbe difficoltà ad accettare l'osservazione di Rober MacNail che 'la televisione è il soma del Nuovo Mondo di Aldous Huxley'" (N. Postman, Divertirsi da morire, cit., p. 134).
29 Cfr. A. Gehlen, L'uomo nell'era della tecnica, Milano, Sugar, 1967.
30 "In una tecnocrazia gli strumenti svolgono una funzione capitale nel mondo mentale della sua cultura. In una certa misura tutto è subordinato al loro sviluppo; la sfera sociale e quella simbolica dipendono sempre più dagli imperativi di quello sviluppo" (N. Postman, Technopoly, cit. p. 32).
31 Ivi, p. 53.
32 Per Huxley il momento decisivo del passaggio dalla tecnocrazia alla tecnopolio è la nascita dell'impero di Henry Ford.
33 F.W. Taylor, Principi di organizzazione scientifica nel lavoro, Milano, FrancoAngeli, 1975.
34 Ivi, p. 70. "Il tecnopolio è ciò che avviene a una società quando sono crollate le difese contro l'eccesso d'informazione, quando la vita istituzionale non basta più a gestire la troppa informazione, quando una cultura, sopraffatta dall'informazione generata dalla tecnologia, cerca di servirsi della tecnologia stessa per trovare orientamento chiaro e finalità umana" (Ibidem).
35 Come sostiene proprio Thamus, rivolto a Theuth, nel testo di Platone: "tu [non] offri vera sapienza ai tuoi scolari, ma ne dai solo l'apparenza perché essi, grazie a te, potendo avere notizie di molte cose sull'insegnamento, si crederanno di essere dottissimi, mentre per la maggior parte non sapranno nulla; con loro sarà una sofferenza discorrere, imbottiti di opinioni, invece che sapienti" (Platone, Fedro, in Opere complete, vol. 3, Roma-Bari, Laterza 1991, p. 274).
36 Scrive ad esempio Postman in Technopoly: "i vantaggi e gli svantaggio di una nuova tecnologia non sono distribuiti equamente, e ci sono vincitori e vinti. Il fatto che, in più occasioni, i vinti abbiano per ignoranza applaudito i vincitori, e che alcuni continuino a farlo, è al tempo stesso curioso e patetico" (N. Postman, Technopoly, cit., p. 16).
37 "Il tecnopolio è una forma di AIDS culturale, le cui iniziali stanno a significare Anti-Information Deficiency Syndrome [sindrome di deficienza anti-informativa]. [...] L'informazione è pericolosa se non ha una direzione in cui andare, se non esiste una teoria a cui possa applicarsi, se non c'è uno schema in cui possa rientrare, infine se non serve a un fine superiore" (Ivi, p. 63).
38 Ivi, p. 68.
39 Th. Adorno, M. Horkheimer, Dialettica dell'illuminismo, Torino, Einaudi, 1966.
40 G. Orwell, 1984, Milano, Mondadori, 1950.
41 N. Postman, Divertirsi da morire, cit., p. 183.
42 N. Postman, Technopoly, cit. pp. 70-71. Aggiunge Postman che "la gente, priva di difese, non ha modo di fare un senso alle proprie esperienze, perde la capacità di ricordare e non riesce a immaginare un futuro dotato di logica" (Ibidem).
43 "Un militante della resistenza mantiene di fronte a qualsiasi tecnologia una distanza epistemologica e psicahica, in modo che essa gli appaia sempre come qualcosa di estraneo, mai inevitabile e naturale" (Ivi, p. 169).
44 Ivi, p. 172,
45 Ibidem.
46 Tradotto da La Nuova Italia nel 1973 col titolo L'insegnamento come attività sovversiva.
47 "Se focalizziamo l'attenzione sulla scuola, è solo perché essa può diventare l'ambiente critico ideale per promuovere quelle convinzioni e quei comportamenti che sono necessari alla sopravvivenza" (N. Postman, C. Weingarner, L'insegnamento come attività sovversiva, Firenze, La Nuova Italia, 1973,p. 29).
48 Spiegano gli autori "abbiamo voluto usare il termine 'inflitta' perché riteniamo che le scuole siano dirette attualmente in modo tale da contribuire assai poco, e probabilmente per nulla, ad aumentare le nostre possibilità di mutua sopravvivenza" (Ivi, p. XI).
49 Tra le fonti di questa terapia gli autori individuano i testi M. McLuhan, Understanding Media; Wiener, The Human Use of Human Beings; C. Rogers, On Becoming a Person; Korzybski, Science and Sanity, Richards, Practical Criticism.
50 Gli autori mutuano il vocabolo da un'intervista rilasciata da Hemingway, il quale alla domanda di quale dote servisse per essere un grande scrittore dichiarò: "Per essere un grande scrittore un individuo deve possedere un rivelatore interno del ciarpame, a prova di bomba" (cit. in N. Postman e C. Weingarner, L'insegnamento come attività sovversiva, cit. p. 3).
51 "Abbiamo scoperto nel corso dei nostri tentativi di organizzare in varie scuole degli ambienti didattici basati sull'inchiesta che sarebbe alquanto vantaggioso poter abolire dal vocabolario operativo le parole 'insegnare' e 'insegnamento'. [Allora] in risposta a domande su cosa si vuole che imparino gli studenti (che è cosa ben diversa da quello che si vuole 'insegnare' loro), affiorano delle osservazioni nelle quali lo studente, più che il 'soggetto', è l'argomento centrale" (Ivi, p. 45).
52 Ivi, p. 61.
53 Inoltre, anziché concentrarsi sulla mente, gli autori ritengono fondamentale rivolgersi al processo del ragionamento: "come osservavano John Dewey e Arthur Bentley, saremmo più aderenti alla realtà se parlassimo di 'ragionamento' (come processo) piuttosto che di 'mente' (come cosa)" (Ivi, p. 93).
54 Ivi, p. 116.
55 Ivi, p. 118. Aggiungono gli autori: "Dato che il processo della conoscenza è inscindibile dalla 'costruzione del linguaggio', nella nuova educazione il linguaggio (cioè, tutte le forme di codificazione simbolica) è considerato il mediatore di ogni percezione umana ed usato come centro unificante e continuativo di ogni inchiesta degli studenti" (Ivi, p. 139).
56 C. R. Rogers, On becoming a person, Boston, Houghton Mifflin, 1961.
57 "Indipendentemente dalla 'materia' che state insegnando, gli strumenti sono importanti. Per esempio, se uno insegna storia, può senz'altro considerare le domande sugli effetti dei mezzi di comunicazione sullo sviluppo politico e sociale. Se uno insegna scienze, davanti a lui e ai suoi studenti si apre l'intero regno della tecnologia, compreso lo studio della misura in cui la tecnologia influenza la direzione nel processo evolutivo. Se uno insegna lingua, la funzione degli strumenti di comunicazione di massa nella creazione di modelli nuovi di letteratura e i nuovi modi di percepire la letteratura sono tutti argomenti che lo riguardano. In breve, indipendentemente dalla vostra materia e dall'età degli studenti, vi suggeriamo di inserire lo studio dei mass-media come parte normale del programma" (Ivi, p. 223).
58 Ivi, p. 239.
59 Ivi, p. 187. "I nuovi strumenti - questi nuovi linguaggi - sono pertanto tra i più importanti "argomenti" da studiare nell'interesse di una possibile sopravvivenza. Ma essi devono essere studiati in una maniera nuova se si vuole che vengano compresi: occorre analizzarli come mediatori di percezioni. Peraltro, qualsiasi 'materia' o 'disciplina' deve essere studiata in questo modo per essere compresa" (Ivi, p. 188).
60 Ivi, p. 174.
61 N. Postman, Ecologia dei media, Roma, Armando, 1981, p. 45.
62 Ivi, p. 48.
63 Ivi, cit. p. 50.
64 "Per quanto possa sembrare blasfemo, la televisione ha qualcosa della potenza che noi attribuiamo alla comunicazione religiosa, almeno nel senso che essa riposa principalmente su insegnamenti morali fondati su una base emozionale" (Ivi, p. 52).
65 Ivi, p. 65.
66 N. Wiener, Introduzione alla cibernetica, Torino, Einaudi, 1958.
67 N. Postman e Weingartner, L'ìnsegnamento come attività sovversiva, cit., p. 228.
68 Cfr. Rispettivamente, E. Morin, La testa ben fatta, Milano, Cortina, 2000; J. Lotman, La semiosfera, Venezia, Marsilio, 1985.
69 Ibidem.
70 Ivi, p. 232.
71 Ivi, p. 233.
72 N. Postman, S. Powers, Come guardare il telegiornale, Roma, Armando, 1999.
73 Ivi, p. 8.
74 Ivi, p. 29.
75 Le proposte di Postman e Powers sono le seguenti: 1) quando ci si accinge a guardare un tg, occorre già avere le idee chiare su cosa è importante e cosa no; 2) ricordarsi come viene chiamato il tg in America: Tv news show; 3) mai sottovalutare il potere della pubblicità; 4) informarsi sugli interessi economici e politici di chi controlla le emittenti televisive; 5) prestare particolarmente attenzione al linguaggio dei tg; 6) ridurre di almeno un terzo il consumo di informazioni televisive; 7) ridurre di un terzo il numero di opinioni che si ritiene obbligatorio avere; 8) far sì che la scuola si preoccupi di insegnare agli alunni come si guarda un telegiornale (Ivi, pp. 119-124).
76 Egli ammette: "ritorno sull'argomento adesso, non perché il mondo dell'educazione abbia sofferto per la mia assenza, ma perché l'ho sofferta io" (N. Postman, La fine dell'educazione, Roma, Armando, 1997, p. 9).
77 N. Postman, La fine dell'educazione, cit., p. 10. Continua Postman: "Dando al libro il suo ambiguo titolo, intendo suggerire che, senza un obiettivo trascendente e nobile, l'istruzione raggiungerà la sua fine, e quanto prima accadrà, tanto meglio sarà. Con un simile proposito, l'istruzione diventerà l'istruzione centrale attraverso la quale i giovani potranno trovare delle motivazioni per continuare ad educarsi" (Ibidem).
78 "È mia convinzione che la scuola resisterà, poiché nessuno ha inventato un modo migliore per presentare ai giovani il mondo dell'apprendimento; che la scuola pubblica resisterà poiché nessuna ha inventato un modo migliore per creare un pubblico; e che l'infanzia sopravviverà perché senza di essa dovremmo perdere anche il senso di ciò che significa essere adulti" (Ivi, p. 170).
79 Ivi, p. 14.
80 Ivi, p. 166.
81 Ibidem.
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COSIMO DI BARI
Assegnista di ricerca, Università di Firenze
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Copyright Firenze University Press 2012
Abstract
Neil Postman has offered valuable contributions to the reflection about the relationship between media and education. His analyzes, capable to establish a dialogue between some disciplines (linguistics, sociology, history, psychology, pedagogy, etc.), were not enough considered in the theoretical model of Media Education. The aim of the text is to decline the Postman's investigation considering the role of Media Ecology as a current and necessary strategy, also today with the new medias. [PUBLICATION ABSTRACT]
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