Abstract. In Minima moralia, Theodor W Adorno develops a discourse that bridges philosophy, sociology and pedagogy. The present article aims to highlight, in Adorno's work, the coexistence and the intertwining of these three dimensions, summing them up under the category of "form" - be it a social institution or a sign of the "formation" of every man. Other problems are then taken into account, namely the reification of forms and the decline of experience; finally, still following Minima moralia, the possibility of dismissing the very concepts of "form" and "formation" is discussed and rejected.
Keywords. Adorno, Minima Morialia, phylosophy, form, education.
1.La reificazione delle forme
Ai Minima Moralia - testo concepito e redatto tra il 1944 e il 1947 - Theodor W. Adorno affida commenti estemporanei, apologhi concisi e pungenti, arguzie, acrobazie verbali. Ma pure dissertazioni articolate e sottili, ordite dal filo policromo della dialettica. L'impianto orizzontale (poiché non gerarchico) dell'opera, composta da 153 aforismi organizzati in tre sezioni, favorisce la digressione simulata, sapiente nel lasciar trapelare la connessione profonda tra le estremitå della costellazione strutturale. Da pifi parti e stata peraltro notata la spiccata qualitå letteraria del saggio, dovuta non da ultimo alla liberta tematica che l'autore si concede scegliendo a pretesto le innumerevoli sollecitazioni offerte dalla societa americana. Adorno, infatti, elabora l'intero studio nel corso del soggiorno forzato in California, appena dopo aver concluso, con Horkheimer, il comune lavoro sulla Dialettica dell'Illuminismo (cfr. Horkheimer-Adorno 1947); cosi, egli dispone di una peculiare posizione prospettica, capace di indirizzare il suo sguardo verso il transito incrociato dal nazionalsocialismo alla democrazia di massa. Le contaminazioni sono prolifiche, acute e indocili; somiglianze quasi inavvertibili divengono eclatanti una volta sottoposte alla critica lucida del filosofo di Francoforte. Di qui l'estrema attualita ancora oggi insita nel saggio adorniano, incline a sconfinamenti storici, semantici o disciplinari deliberatamente eccessivi e percio gnoseologicamente preziosi.
E davvero, fedele a uno stilema caratteristico della sua prosa, Adorno di rado si sottrae alla tentazione dell'estremo. Il gusto dell'esagerazione e dell'ossimoro, della tensione estenuata e della parzialita, si innesta pero sempre su una solida impalcatura dialettica, a sua volta percorsa dall'onda mobile di un pensare inesausto. Accade cosi che, in un testo dalla planimetria volutamente eccentrica quale e quella dei Minima Moralia, risulti frequente la presenza di forti direttrici divergenti, l'un l'altra contrastanti e sovente contraddittorie. E il punto d'intersezione, inevitabilmente, si fa punto d'incandescenza: dissonanza di quel domandare che prelude all'interpretazione. E il caso della problematica trattata qui di séguito. La si introdurrå, ora, muovendo proprio dalla sua duplice identita epistemica nelle riflessioni di Adorno.
Trascelti, a preliminare titolo esemplificativo, alcuni degli aforismi d'apertura - segnatamente il 2, il 3 e il 18 -, pare fruttuoso il confronto con la distesa esposizione dell'aforisma 14. Alla ?fine della famiglia? (Adorno 1951: 2) si affianca la desolata constatazione che ?la proprietå privata non ci appartiene piu? (ibid.: 18) e, lungo il medesimo filo del ragionamento, l'equiparazione ultima di ?professione e vita privata? (ibid.: 3). Ma tutto cio e smentito prepotentemente e senza riserve dal lucido aforisma 14, intitolato ?Le bourgeois revenant?, dove si sostiene: ?Insieme al potere decisionale si sono consolidati, ancora una volta, l'ordine soffocante del privato, il particolarismo degli interessi, la forma da gran tempo superata della famiglia, il diritto di proprietå e la sua riflessione nel carattere?. In sintesi: ?le forme di vita borghese vengono conservate con feroce ostinazione?. Il problema dunque, come si vede, ruota intorno allo statuto e alla sorte delle forme: ove con questo termine polisemico, filosoficamente e pedagogicamente eminente, si vogliono indicare innanzitutto le forme sociali (percio le istituzioni in senso lato: la legge, il diritto, il linguaggio e insomma la cultura complessiva di una societå) e secondariamente le forme della formazione di ciascun uomo. Esaminando allora i Minima Moralia alla luce di questo tematico interrogare si tentera qui di comporre, secondo una parabola certo di ampio respiro, il movimento vitale descritto dalle forme nella prospettiva di Adorno.
La prima istanza meritevole di approfondimento proviene dall'aforisma 14, e cio in ragione della chiarezza e del nitore delle posizioni li espresse. La rigida ripartizione borghese della vita sociale nelle dimensioni antitetiche del "pubblico" e del "privato", accompagnata dal culto dell'individualismo e da regolamentazioni legiferanti asservite alla burocrazia, contribuisce a provocare una scissione dolorosa e forse insanabile tra singolo e societa, tra privato e pubblico, tra morale e legge. Del resto, l'aforisma 14 non costituisce caso a sé: al contrario, intorno ad esso si colloca, concentricamente, un'intera tramatura di aforismi, entro la quale spiccano il n. 84 e il n. 58. Il n. 84, ?Orario di lavoro?, coniuga due temi ricorrenti nei Minima Moralia: il ruolo epifenomenico dell'intellettuale e la dialettica tra lavoro e svago. Problematiche, queste, la cui urgenza dev'essere sottolineata anche a partire dalle contingenze biografiche sottostanti: Adorno, costretto a emigrare in America, avverte con dolorosa acutezza la propria marginalitå in un orizzonte sociale onnivoro e omogeneo che minaccia di ledere la sua autonomia. E se la prassi borghese ha codificato con infallibile precisione le tempistiche del lavoro e dello svago, attenendosi alla massima d'azione ?Work while you work, play while you play? (Adorno 1951: 84), aderendo cosi a una (ben poco) implicita ?autodisciplina repressiva?, non v'e spazio vergine per chi, come l'intellettuale o il filosofo o il pensatore, progetta disperatamente ?un'astuta compenetrazione di lavoro e felicita?. Non dissimile, per quanto senz'altro piu articolata, la logica strutturale dell'aforisma 58, incentrato sulla discrasia tra ?bene? e ?bonta?. Per Adorno, l'atto di nascita della bonta e da ricercarsi entro l'arco storico che ha segnato l'ascesa della classe borghese. La borghesia, una volta sbarazzatasi di qualsivoglia concetto metafisico, senza indugio ha soppiantato il ?bene? con la ?bonta? (e cioe con la filantropia, il compatimento ostentato e magnanimo, il moralismo) riducendo al contempo, di conseguenza, la legge a codice sclerotizzato, statalizzato e impositivo. Dunque, si fanno sin da ora piu chiari i tratti peculiari di quella che potrebbe definirsi "ragione borghese", la quale investe, con i suoi vettori di movimento, l'intero panorama del sociale. Il proces- so e facilmente percepibile: le forme reggenti della societa si rendono progressivamente distanti e aliene dall'esperienza dei singoli (e il caso delle consuetudini lavorative, delle condotte pubbliche, della legge assunta a comando); per contro, la dimensione privata si ripiega in sé, trascinata dalla risacca del solipsismo. La societa appare lacerata, dualisticamente divaricata in compartimenti tra loro non comunicanti. Adorno qui e affatto esplicito e ben difficilmente fraintendibile: per quanto il filosofo possa poi modificare, rielaborare o addirittura rinnegare questa prima posizione, essa non dovra in nessun caso essere aggirata - come ha teso a fare, in un lavoro peraltro epocale e avvertito, Renato Solmi in apertura della sua Introduzione alla prima edizione italiana dei Minima Moralia (cfr. Solmi 1954). Ma certo e opportuno ora sviluppare, procedendo nell'analisi del lavoro adorniano, ulteriori precisazioni intorno alla vita delle forme sociali.
Come si e detto, la sfera del sociale e trapassata su un piano incommensurabile al singolo. Nelle parole dell'aforisma 116, ?l'oggetto dell'esperienza e fuori di ogni proporzione con l'individuo?: si tratti dello sterminio sistematico di un popolo, dell'atto con cui il pilota incaricato dello sgancio della bomba atomica follemente esegue le istruzioni impartitegli o della notizia quotidiana di violenze terroristiche, in ogni caso ?il grande delitto appare (...) come una semplice mancanza verso la convenzione?. Dove ?convenzione?, poi, nient'altro e se non la legge! Una legge morta, depauperata, compattata nella caricatura di se stessa. Se il diritto rappresenta la forma autentica che una societa civile presceglie quale suo criterio ordinatore e principio disciplinante, allora la legge diviene ora solo la maschera pietrificata del diritto. Si deve dunque osservare cautela, poiché non e Vevento soltanto a risultare fuori di ogni misura per la coscienza soggettiva (punto sul quale Adorno pone la maggiore enfasi), ma altresi l'istituzione sociale - la legge e prima ancora il diritto - di cui il sentire comune dovrebbe farsi garante. D'altro canto, l'esperienza stessa, con il progressivo ritrarsi delle forme che ne avrebbero consentito l'organicita, l'ordinabilita e dunque l'intelligibilita, mira a distillarsi nella pura sensazione. E la sensazione, scrive il filosofo francofortese nell'aforisma 150, e ?il nuovo?: l'ebbrezza del brivido e dell'inusitato, l'estenuazione sempre piü parossistica del volere, del sentire, del desiderare; solo il ?nuovo? sa sillabare ?la formula che consente di estrarre un valore di stimolo all'orrore e alla disperazione?. L'esperienza pare infine votata a confermare la persistenza della facolta di sentire, e a questo scopo niente si dimostra piu indicato della violenza immediata. Quindi, si tratta non solo di misurare la disparita e il dislivello instauratisi tra il singolo e le forme sociali, ma pure di denunciare la deriva catastrofica delle forme e dell'esperienza, in fuga lungo assi disgiunti. Permanendo ancora nella sfera del sociale, si assistera, subito dopo l'irrigidirsi della forma - si e gia detto della legge, ma si pensi anche alla paralisi del conversare svigorito in codici serrati e vuoti (cfr. ibid.: 90) -, a una progressiva e crescente manipolabilita di quest'ultima secondo l'agio di chi, in forza del potere di cui usufruisce, puo sottometterla al suo arbitrio. Interrogarsi allora intorno all'astratta correttezza di provvedimenti riformatori diviene un mero sofisma se l'esperienza risulta, in ogni caso, relegata all'anticamera della vita. E cosi che, negli aforismi 9 e 138 (posti specularmente agli estremi del saggio), le concezioni tradizionali di "verita" e "menzogna" appaiono sovvertite e permutate. L'apologia della "verita" e proclamata con tanta maggiore convinzione dagli apparati propagandistici quanto piu essa sorregge impunemente le intrusioni dei monopoli nella sfera privata dei cittadini; il candore e la lealta assurgono a sgargianti vessilli di un proselitismo retorico intento solo a sgombrare il cammino dei nuovi giganti dell'informazione. Del resto, si sa, la verita giuridica e labile, e chi sia provvisto dei mezzi economici adeguati puó orientare, se non distorcere, lo sguardo del grande pubblico sfoggiando noncuranza. Che dunque l'unica scappatoia dallo sfacelo delle costruzioni sociali possa consistere nella salvaguardia del privato, dell'autonomia ancora restante, del soggettivismo? Ma qui l'analisi testuale dovra concentrare il suo sguardo sulle forme della formazione singolare di ogni uomo.
Difficolta insormontabili incontrerebbe, tuttavia, chi volesse tracciare con mano ferma la linea di demarcazione tra il singolo e la societa. E una verita palese: la societa vive negli uomini che la compongono; cionondimeno, e possibile forse rintracciare dei punti di transito o di trapasso, dei momenti di influenza, di tangenza o di ritrazione, dove il soggetto risulta esterno al sociale e pur ne subisce il condizionamento. Si tratterebbe, in un programma utopico, di quelle occasioni in cui impercettibili slittamenti sopravvengono e provocano attriti e frizioni: cosi la forma del soggetto e le forme del sociale, sebbene non possano - e non debbano! - mai collimare, reciprocamente si avvierebbero lungo il corso di trasformazioni impastate dall'esperienza vissuta. Tutt'altro quadro quello prospettato da Adorno - singolarmente prossimo all'attualita nonostante lo iato temporale -, allorché scrive: ?La divisione del lavoro, il sistema delle operazioni automatizzate, fa si che nessuno si preoccupi piü del benessere e della comodita del cliente? (ibid.: 75). La burocrazia oliata e perfettamente rifinita decreta la definitiva irrisione dell'esperienza soggettiva. Un apparato progettato e pianificato per volgersi al servizio del cliente domanda a quest'ultimo, come segno di deferenza o umile contegno, di non desiderare null'altro rispetto a ció che dovrebbe desiderare, scivolando cosi senza attriti né incertezze al posto esatto per lui predisposto dal meccanismo. Qui, e chiaro, le forme di un'organizzazione sistematica sprezzano apertamente le forme della formazione dell'uomo. Analogo discorso vale per procedure quali test, questionari, prove d'esame. Nell'aforisma 25, ove compare - unico caso nel saggio - la locuzione ?vita offesa?, eponima del sottotitolo dei Minima Moralia, Adorno parla dei ?questionari? cui sono sottoposti i migranti al loro arrivo negli Stati Uniti. Li, tra le altre domande, c'e spazio per una ?rubrica apposita?, denominata ?background?, nei cui confini ristretti l'esaminando e invitato a stipare i tratti salienti della sua esperienza di vita. Questa, conclude implícitamente Adorno, e la ratifica istituzionale dell'oblio. (Ed e risaputo come oggi, per ottenere l'ammissione in importanti aziende, ci si debba lasciar "somministrare" test che alle domande piü indiscrete e invadenti, tese a stilare un sedicente "profilo psicologico" del soggetto, affiancano "batterie di problemi" volte a stimarne la rapidita cognitiva. Cosi si smaltiscono le energie ormai esangui di una cultura ricapitolata interamente nel "libro preferito" ed esautorata dal "problem solving".) Infine, la manipolazione piü pervasiva avviene, com'era prevedibile, nel mondo del lavoro. La suddivisione sistematica dei cómpiti assimila l'uomo a un ingranaggio del processo produttivo: sebbene una tale amara constatazione paia ormai quasi banale, la sua verita resta indiscussa oggi non meno che un secolo fa. Le vessazioni cui l'uomo e sottoposto, specie nei paesi cosiddetti "sottosviluppati", restano intollerabili e disumanizzanti. Nel caso della parcellizzazione del lavoro, come Adorno nota negli aforismi 39 e 147, l'irrigidimento della forma dell'uomo avviene a viva forza, s'imprime in ciascuno come sotto un torchio: ?La suddivisione dell'uomo nelle sue facolta e una proiezione della divisione del lavoro sui suoi presunti soggetti, inseparabile dall'interesse di poterli impiegare con un utile superiore e, in generale, di manipolarli? (ibid.: 39). La riduzione dell'uomo a cosa implica sempre una frammentazione del soggetto in istanze distinte, delle quali l'una vigila e preserva, nevrotica, l'immobilitå dell'altra. La reificazione non e completa finché il soggetto non apprende a fissare su di sé lo sguardo come su un essere inanimato. Se il lavoro meccanizzato rappresenta quanto di piü simile a una coartazione possa concepirsi, negli altri casi la pressione risulta forse piü smorzata ma non meno insistente. Le procrastinazioni della burocrazia, come nei romanzi di Kafka, non pongono un veto definitivo all'umanita dell'uomo. Esse attendono la resa spontanea. L'aforisma 76 lo illustra servendosi di un'immagine calzante: gli individui sono assimilati a clienti persi in un labirintico emporio, dove gli scaffali si susseguono interminabilmente. Nulla vieta al cliente d'imboccare la strada dell'uscita, eventualmente dopo aver acquistato la merce di cui abbisognava. Ma cosa comprare, dove dirigersi? Chi di fatto si rinviene spaesato, intorpidito dall'inerzia, puo solo attendere la sua ?guida? (?Führer?), alla quale si consacrerå senza indugi. La dismissione spontanea della propria umanitå segna il trionfo della forma reificata.
2.Declino dell'esperienza
Per quanto critico o sospettoso, per quanto diffidente e cauto verso le forme che il vivere sociale proietta sulla sua formazione, il singolo commette sempre almeno una svista. Allora conosce il tradimento verso se stesso, l'infedeltå al proprio essere umanamente autentico; al contempo, stupisce della sinistra semplicitå dell'abbandono. Cio anche in relazione ai concetti della verita e della menzogna: come Adorno osserva perspicuamente nell'aforisma 138, coloro che rinnegano incessantemente la propria formazione scoprono quanto sia agevole dire sempre la verita in un sistema integralmente falso. La breccia, poi, si scava via via piü profonda a partire dall'attimo della capitolazione soggettiva, intenzionale, deliberata. (Ben poche erano le sommosse nei Lager: ai deportati si insegnava l'impotenza.) Il malessere che prepara lo sfondo dell'oblio inaugura la sua azione in sordina, tacitamente; e presto promana dall'intimo. Dietro l'urgenza sempre piü nevrotica dell'acquisto e del possesso esclusivo della merce, e ancor piü dietro la sequenza compulsiva delle istantanee fotografiche, alberga solo l'inquietudine dell'esperienza. Un'esperienza incommensurabile e inesplicabile per chi non disponga che delle poche forme estranee gia predisposte per inquadrarla; un'esperienza dunque tanto piü Tapidamente schedata quanto maggiore e il turbamento da essa suscitato. Nell'aforisma 106 (ma cfr. anche ibid.: 72), Adorno lucidamente diagnostica il timore dell'oblio che filtra, come un'onda lenta ma sicura, nelle coscienze malcerte degli individui. A esso si tenta di porre rimedio documentando minuziosamente, incasellando, immobilizzando con cecita ottusa, ripartendo e rubricando e inventariando: ma la memoria, con un guizzo ironico, scivola tra le dita. Stessa sorte della memoria attraversa, appena dopo, l'esperienza artistica. Gli artisti non ingenui padroneggiano con disinvoltura la loro tecnica; eppure, la rigidita dei modelli di trasfigurazione della soggettivita si e incuneata cosi a fondo, in loro, da aver paralizzato qualsiasi spontaneita. ?Il progresso della loro tecnica (...) e sfociato in una sorta di reificazione, di tecnicizzazione dell'interiorita come tale? (ibid.: 137). Quando Adorno, circa un ventennio piü tardi, intraprendera la redazione della sua poderosa Teoria Estetica - poi rimasta incompiuta al sopravvenire della morte - non disconoscera peraltro tali posizioni, invece ribadendole: ?Persino la progressiva domina- zione del materiale va pagata con una perdita nella dominazione del materiale? (Adorno 1970: 283). E in effetti, e proprio il "dominio di sé" a costituire il termine ultimo di una vita distesamente regolamentata, pianificata, controllata. Autocontrollo e autodisciplina godono di un plauso unanime; in chi sa porre un freno ai propri impulsi si ammirano la coscienziosita e la diligenza: ?L'uomo buono e quello che domina e controlla se stesso come la sua proprieta? (Adorno 1951: 119). Dopo tutto, osserva ironicamente Adorno negli aforismi 119, 120 e 121, le condotte ferree dell'aristocrazia provocano la sola soddisfazione del sapersi invidiati. E dunque, che investa la memoria, l'esperienza artistica o le regole di condotta, il timore di una liberta sempre piü ipertrofica spinge gli uomini liberi a consegnarsi con entusiasmo, insensatamente, ai propri carcerieri. E il caso esemplare della psicanalisi organizzata in consuetudine sociale: negli aforismi 39, 40 e 42 il filosofo francofortese sbozza un profilo - certo non benevolo - delle prassi psicanalitiche. Esse sono accusate di sottrarre all'uomo l'estremo lembo dell'autenticita. Cio attraverso una nomenclatura specialistica tutt'altro che esoterica (giacché ciascuno ne conosce le dizioni e con queste spiega a se stesso il proprio male), capace di mutare il dolore anche impronunciabile in un ?prodotto di massa? (ibid.: 40), immediatamente convertibile ed equiparabile ad altri analoghi. Si consuma allora qui l'estinzione progressiva del sentimento, prima ricacciato nel dolore e poi obliterato contemporaneamente al sintomo; all'occasione del pensiero (necessariamente dolente) subentra artificiosamente il "flusso di coscienza" delle associazioni spontanee: non a caso, l'aforisma 40 si intitola ?Parlarne sempre, non pensarci mai?. Le forme, insomma, modellate secondo la geometria delle griglie, annientano l'esperienza prima che quest'ultima possa affacciarsi alla soglia della formazione. In parallelo poi si assiste, di riflesso, all'esautorazione della sfera privata per mano della sfera pubblica: laddove la privatezza, per scelta degli stessi soggetti che in essa dovrebbero custodire il tepore delle amicizie, dei segreti o degli amori, diviene indiscernibile dalle impudiche proposte dell'opinione pubblica. Un'identica mentalita utilitaristica e strumentale satura, da ultimo, anche l'intimita degli spazi (cfr. ibid.: 3). E sancito, cosi, il declino dell'esperienza.
Occorre tuttavia ripeterlo una volta di piü: non si tratta, qui, di una trasposizione dell'esperienza in forma; né e sufficiente figurarsi una graduale coagulazione dell'indeterminato verso costellazioni intelligibili. Se inteso secondo queste accezioni, il lemma "reificazione" risulta facilmente fuorviante. Quando piuttosto con esso si deve intendere, raccogliendo le semantizzazioni finora circoscritte, la calcificazione e l'irrigidimento, il divorzio e la divaricazione incomponibile di esperienza e forma; dunque, di conseguenza, la totale manipolabilita della forma secondo l'arbitrio o la tirannia e non a séguito di attriti fecondi o principi dialogici; e ancora, dal lato soggettivo, il deficit di valore conoscitivo riposto nelle forme stesse e la successiva sempre crescente atrofizzazione dell'esperienza, infine - ed e quasi inevitabile - la definitiva remissione dei singoli alle logiche insincere di un sistema de-formato e de-formante, coordinato in ogni sua propaggine. Ma se il movente profondo di ogni irreggimentazione e la paura, a essa non puo che associarsi la brutalita: motore propulsivo del sistema e la violenza diretta. Meglio: per Adorno, la violenza coercitiva e inumana rappresenta la verita corrotta delle istituzioni totalitarie. E violenza significa, in primo luogo, costringere l'uomo nella gabbia asfissiante del proprio ruolo sociale, quando cio comporta leggere, nel "ruolo", un elemento forzatamente egoístico del sistema di scambio. I bambini, e detto nell'aforisma 21, si dimostrano scaltriti al pari degli adulti allorché ?squadrano diffidenti il donatore?: uno sguardo a tal punto impietoso possiede il carattere di una sentenza, e di una sentenza se non giustificata quanto meno inconfutabile. Nessuno puo difendersi, infatti, dalle accuse di impostura: chi sa mai donare con animo perfettamente incontaminato? E chi non si attende, anche nel gesto piu franco, un'effusione di gratitudine - fosse pure l'accenno di un sorriso? La brutalita immediata addita alla colpevolezza di ciascuno, inclemente: e raramente s'inganna, perché l'uomo e fallibile. Si evince, da cio, come quel che la violenza non sa tollerare sia innanzitutto l'ambiguita e la molteplicita, le quali fanno dell'uomo un essere-in-formazione. La ragione strumentale, vero surrogato del pensiero nella societa attuale (e lo si deduce dalle teorie pseudo-razionali della scelta elaborate dalla psicología contemporanea), livella le teleologie nella sterminata pianura degli utili, tessendo, al contempo, un'incessante apologia del sussistente. In fondo, chi lavora mira anche al guadagno, e cio conferirebbe al datore di lavoro la facolta di vessare i suoi impiegati; tacitamente, chi dona si attende forse una ricompensa, pur senza confessarlo a se stesso, e cio offrirebbe un pretesto irrefragabile per rimpiazzare il dono con il principio di scambio; e ancora, da ultimo - ma si potrebbe continuare -, ogni discorso sottende dopo tutto un contenuto del pensiero, e non lo si vorrebbe magari, per maggiore semplicita generale, riassumere brevemente, fors'anche docilmente compilando un questionario gia pronto e standardizzato? Alle euristiche dell'evidenza non esiste scappatoia altrettanto evidente.
Nell'aforisma 63 Adorno sostiene con veemenza che ?I concetti del soggettivo e dell'oggettivo si sono completamente invertiti?. Tentare di penetrare, tenacemente, nel cuore degli oggetti vale solo a dimostrare la propria inconcludenza innanzi agli occhi di chi, impassibile, si barrica nel contrafforte di un soggettivismo confortato dall'orgoglio della maggioranza. Del resto, nelle forme - le forme vive, vitali, le forme autentiche della formazione dell'uomo - vige da sempre in nuce il germe della metamorfosi. Cio perché proprio le forme, organizzando il reale, lo plasmano e lo trasmutano, compenetrando l'oggetto col soggetto e il soggetto con l'oggetto. E dunque, irrorate dall'acqua sorgiva dell'immaginazione, esse conservano nel loro nucleo la tensione inesausta del controfattuale. "Controfattuale" diviene sinonimo di "negativo", "utopico" e poi "desiderativo", "intenzionale" e "non-apologetico". Ecco le ragioni in virtu delle quali Adorno puo schierarsi in difesa della distanza, del ritegno, del tatto. Il filosofo aveva compreso bene che ?l'estraniazione si manifesta negli uomini come caduta delle distanze? (ibid.: 20); e percio osserva altresi, nell'aforisma 16 (intitolato ?Per una dialettica del tatto?): ?il presupposto del tatto e la convenzione in sé compromessa ma ancora presente. Oggi la convenzione e irrimediabilmente crollata, e continua a vivere solo nella parodia delle forme?: queste ultime, a loro volta, si poggiano su un'?intesa? condivisa non dissimile da una ?cieca conformita?. Notare, come Adorno fa appena dopo, che il tatto rimarca una ?differenza specifica? (cioe una misurata infrazione o concessione), significa riconoscere alla forma la qualita di "cassa di risonanza" dell'esperienza, capace di preservarne l'ambiguita pur senza precludere l'intesa balenante. Ora, conclude il filosofo, la brutalita immediata e la legge dell'azione. Inoltre, come acutamente si argomenta nell'aforisma 19, non e un caso che alla brutalita siano inclini i prodotti della tecnica. Essi permangono estranei alla sfumatura, alla delicatezza e al garbo; centrati sul loro fine, non si preoccupano d'altro che di conseguirlo. Sbaglia allora chi si fa apologeta della tecnica limitandosi a elogiarne la funzionalita. Certo non si puo disconoscerne l'efficacia: ma proprio l'efficacia della técnica e ambivalente poiché essa sostanzia, nella sua struttura, il movente unidirezionale dell'ottenimento, il quale e sempre cieco al ?surplus (...) che sopravvive come nocciolo dell'esperienza perché non e consumato dall'istante dell'azione? (ibid.: 19). La tecnica - non lo si negherå - avvicina. Fa vicini gli uomini tra loro; fa vicini i propositi e gli scopi. In cio risiedono la sua utilita e il suo danno. Ma la vicinanza e il canale preferenziale della violenza e dell'annientamento totale. Il nodo in cui Adorno costringe il ragionamento si fa allora quasi indissolubile. E le sue tesi acquistano forza probatoria.
All'irreggimentazione tacitamente forzata nel sistema sociale immobile (eppure costretto a smaltire instancabilmente le proprie scorie!) si configura una sola alternativa: la vita al margine, pericolosamente sporgente oltre i crinali della follia. Cancellati dall'opinione pubblica, dolosamente rimossi dalle conversazioni e dai pensieri, risospinti nel gorgo della loro solitudine assoluta, coloro che non sanno o non possono sottomettersi all'"evidenza" restano esclusi. Questo e il trattamento riservato a emigrati e indigenti, profughi, carcerati e pazzi; sopra tutto regna, secondo Adorno (cfr. ibid.: n. 38), l'interdetto intorno al dolore, corroborato dalle tristi propagande dell'allegria a buon mercato. Cosi, in conclusione, all'esperienza autentica non pertiene altra verita che quella della sofferenza: ma di una sofferenza esprimibile solo al prezzo dello stigma sociale.
3.Dissoluzione delle forme?
La parabola tracciata sinora ha disegnato un arco chiaro nel testo di Adorno: si e voluto seguire il decorso concettuale che, muovendo dalla persistenza delle forme sociali della vita borghese, ha inteso puntualizzare e contestualizzare le tendenze reificanti insite in queste ultime; in séguito, si sono delineati i dissidi e i progressivi divorzi tra i singoli soggetti e le forme dell'interpretazione, decretando cosi l'inconciliabilita di esperienza e forma; poi, si e notato il transito verso la deliberata dismissione della forma da parte degli uomini (degradati a "individui"); infine, si e rimarcata la propensione alla violenza cieca - promossa dalla paura - che corrode la societa contemporanea. Ē opportuno adesso ricongiungersi all'interrogativo incipitario della ricerca, laddove si rendevano esplicite due distinte posizioni nel saggio di Adorno: da un lato si poneva la reificazione delle forme, supportata dai principi dualistici della societa borghese; dall'altro, pero, si proponeva la dissoluzione di quelle stesse convenzioni prassiche ed euristiche che la borghesia aveva instaurato. Una volta compiuto il periplo sulle tracce della prima istanza, risulta ora facilitata la comprensione della seconda - ossia, il riferimento adorniano al disfacimento delle forme. La violenza e l'informe per eccellenza: essa deturpa o sfigura, annichilisce i residui della forma con accanimento deflagrante e implacabile. Ma non si tratta solo della violenza: e gia a partire dall'attimo in cui il singolo sceglie di consegnarsi al modello dominante - dunque abdicando sia alla dignita originaria che sempre lo abita, sia all'esercizio delle sue facolta critiche - che il trapasso verso una societa implicitamente repressiva e sancito irrevocabilmente. Di qui la cogenza di un quesito fondamentale - e lecito, oggi (come ieri), parlare di una societa "informe"? Domanda il cui approfondimento comporta, come si vedra, la formulazione di un ulteriore problema: se tale "assenza-di-forma" costituisca un dato di fatto o non piuttosto un programma d'azione iconoclasta.
Si noti innanzitutto come il movimento verso una progressiva negazione delle forme non scelga quale referente esclusivo il costume borghese; al contrario, Adorno descrive una tendenza di piü ampio raggio, la quale investe indifferentemente (seppur non contemporaneamente) le istituzioni aristocratiche e quelle borghesi. Quanto alle prime, basti rammentare il gia menzionato aforisma 16, ?Per una dialettica del tatto?, affine peraltro agli aforismi adiacenti e in particolare al n. 20. Nell'analisi del filosofo francofortese, ?L'abolizione delle convenzioni come di un orpello inutile, antiquato ed esteriore, consacra la realta piü esteriore di tutte, una vita di dominio immediato?. Qui a decadere e la ?convenzione? un tempo capace di orientare la vita dei ceti privilegiati. Ma non si supponga - ammonisce Adorno - che sia sufficiente reinventare un'etichetta ad hoc, o attenersi a un codice appositamente escogitato, per rendere nuovamente comprensibili le sottigliezze ambivalenti della cortesia. Le ragioni del trapasso sono infatti eminentemente storiche, e hanno un preciso fondamento nelle occorrenze sociali. D'altro canto, c'e stato chi ha preteso fare di Adorno un "mandarino" della cultura, o gli ha perlomeno imputato simpatie conservatrici; cio a partire proprio dal vago rimpianto manifestato nel descrivere il declino della formalita e in generale dell'elitarismo aristocratico. Ma sono rimproveri ingiustificati, non foss'altro perché la cultura autentica, come Adorno sapeva bene, guarda all'assoluto nella storia: e l'assoluto non e né conservatore né progressista. Inoltre, occorre di nuovo evidenziare come l'autore dei Minima Moralia non si limiti a ravvisare il declino delle convenzioni aristocratiche, ma anche e soprattutto di quelle borghesi, tanto che non sarebbe azzardato voler rintracciare la presenza di un'identica variazione ontologica alla base di entrambi i momenti. Riguardo le istituzioni borghesi, Adorno si mostra apodittico. Nell'aforisma 18 e la proprieta ad incorrere in requisitoria: nelle abitazioni private non alberga ormai nulla di propriamente "privato", giacché esse ?contrastano brutalmente ad ogni aspirazione verso un'esistenza indipendente, che del resto non esiste piü?. Ci si risolva pure a sigillare l'uscio o a barricarsi entro un intatto territorio di inaccessibilita: l'esterno penetra in ogni caso prepotentemente nelle quotidianita ireniche delle abitazioni. Forse attraverso lo spettro delle preoccupazioni lavorative, che perseguita anche l'ignaro come un presagio umbratile; o forse per mezzo degli oggetti d'uso giornaliero, cui e stato gia da tempo impresso il marchio indelebile dei prodotti di massa. Non solo: pure i ritmi della veglia e del sonno sovente risentono di influenze poco rassicuranti, e i sonniferi esorcizzano il pensiero; lo svago dispendioso e la cultura mercificata occludono tutti i varchi restanti. Ё cosi che, dinanzi agli aneliti indipendentisti di chi aspirerebbe alla propria autonomia privata, Adorno sentenzia: ?non si da vera vita nella falsa? (ibid.: 18). A venir meno sono, piü in generale, le pareti divisorie tra il pubblico e il privato, allorché un'identica mentalita utilitaristica permea tutte le volizioni e tutti i piani d'azione (cfr. ibid.: 3). E in aggiunta, la crisi dei nuclei familiari spezza le ultime barriere innalzate dal pluralismo: ?La fine della famiglia paralizza le controforze? (ibid.: 2). Il risultato complessivo di tali manomissioni combinate e l'avvento incontrovertibile di una cattiva utopia: come discernere, infatti, l'identita di lavoro e svago quale anelito profondo di una societa redenta (cfr. ibid.: 84, ?Orario di lavoro?) dall'effettiva compenetrazione dei due sotto l'egida del guadagno (cfr. ibid.: 3)? E come separare l'aspirazione verso una societa dimentica della proprieta privata dall'effettiva impossibilita di abitare, di possedere, di disporre autonomamente di sé? Il sogno utopico diviene una chimera fin troppo concreta. Ma e poi vero che tutte le forme si sono dissolte? E quali conseguenze ne deriverebbero, quindi, sul piano dell'azione?
Certo alcune considerazioni di Adorno non possono che avvalorare la tesi di un generale sgretolamento delle forme a puro nominalismo. Agli aforismi prima citati se ne affiancano presto altri: innanzitutto il brevissimo aforisma 28, ove, descrivendo icasticamente la fisionomía del paesaggio americano, e posta in luce l'assenza desolante di appigli per lo sguardo: quell'assenza che da sola costituisce una prova eloquente della elisione dell'origine a favore di un'uniformitå scintillante. (Analogo il caso dei prodotti dell'industria, confezionati in serie e intenti a non lasciar trasparire nulla della storia che li ha ingenerati. Essi fanno schermo di sé dietro la patina seducente dell'assoluta novitå.) E una singolare affinitå stringe poi l'aforisma 28 all'aforisma 36, nel quale si legge: ?Il regular guy, la popular girl, debbono rimuovere non solo i loro desideri e le loro conoscenze, ma anche tutti i sintomi che seguono alla rimozione?. Qui la rimozione del sintomo si configura quale momento topico di una vergogna di esistere in quanto essere-a-sé, uomo singolo e indipendente nel pensiero e nell'azione; infine, in quanto uomo autenticamente abitatore del proprio mondo e interprete della propria formazione.
Cio che, in generale, puo definirsi "elisione della traccia" assedia poi la possibilita stessa del pensiero critico. L'aforisma 134 decreta la fine dell'ironia: poiché nessuno sa piu coglierla quando pensiero e realtå coincidono. ?Il medium dell'ironia, la differenza fra ideologia e realtå, e scomparso?; non solo: poco dopo il filosofo commenta, piu concisamente: ?Non c'e fessura nella roccia di cio che e?. Al critico si prospetta insomma il paesaggio scarnificato e infinitamente omogeneo dell'informe. L'informe, infatti, non e in nessun caso plurale, né si potrå mai concepire un informe diversificato al proprio interno; in ultima analisi, l'assenza di forma coinciderebbe con una societå integralmente monistica. Traendo dunque le deduzioni che gli esempi ora esaminati suggeriscono, e innegabile come in Adorno stesso trovi riscontro la tesi di una dissoluzione generalizzata delle forme nella societå attuale. Ma lo si dirå senza indugi: una tesi simile risulta insostenibile, e neppure il filosofo la avrebbe sottoscritta. Per quel che concerne il pensiero di Adorno valga, piu di ogni altra chiarificazione, una frase ricavata da Teoria della Halbbildung, laddove il filosofo scandisce: ?nulla e piu natura non formata? (Adorno 1959: 8). Del resto, mettere a tema l'imperversare dell'informe significa presto rinserrarsi in una cantilena troppo facilmente rassegnata; si giustifica cosi l'inconcludenza dei discorsi tendenziosi e dilettantistici intorno alla "fine della storia" o alla "fine delle grandi narrazioni", come pure di vaniloqui sulla "morte della filosofia" o addirittura sulla "morte dell'uomo", aprendo poi la strada al "postmoderno", al "postumano", alla "postveritå"... La societå non e affatto informe: e non solo in ragione della mera impossibilitå logica di un tale concetto (certo la critica esiste e cio basta a smentire la tesi di una supposta uniformitå; e inoltre assenza di forma significa, nelle sue conseguenze estreme, la negazione di una qualunque intelligibilitå, che sorge invece con la coscienza stessa), ma altresi poiché proprio la societå si serve di ben precise procedure di regolamentazione, burocratizzazione e suddivisione dei compiti le quali altro non sono se non l'ereditå calcificata di forme un tempo viventi. Negli innumerevoli romanzi di consumo, ad esempio, le trame non possono mai dirsi "informi": al contrario, esse aderiscono tutte alle logiche di un modello unificato, standardizzato e banalizzato, ove si intravede non la morte della forma bensi la sua parodia. L'aspirazione di un certo post-strutturalismo, pronto a vagheggiare il congedo del pensiero a favore di una scrittura autosufficiente e frammentata in un pulviscolo eterogeneo, rampollante in vaghi sprazzi di senso, non era niente piü che un miraggio. Nessuna scrittura si dipana da sé, nessuna lingua enuncia se stessa attraverso sentieri avulsi dal pensiero degli uomini. Ē possibile decostruire, certo, ma decostruire non significa smantellare; come hanno mostrato i piü avvertiti tra gli strutturalisti, decostruire e gia interpretare e dunque, per cio stesso, ricostruire. Ma con questa considerazione ci si e ormai inoltrati sul piano dell'azione, laddove giungono a esplicitarsi piü rifinite problematiche. Una volta assodata la vanitå del discorso intorno alla dismissione delle forme, si e altresi concluso un giudizio - tutt'altro che lusinghiero - intorno alla qualita delle attuali forme del sociale, e si e cosi dischiuso il rovello dell'agire. Un quesito risalta su tutti: e opportuno sbarazzarsi delle forme corrotte dalla societa?
Quando il nesso tra esperienza e forma viene ad essere reciso, la forma grava sull'esperienza dell'uomo come un fardello insostenibile. Quel che prima era parso un intreccio armonico e pregno di significato, quel che un tempo imbastiva il riparo ovattato della familiarita, la nicchia o il guscio avvolgenti eppure vigorosi: tutto cio si tramuta in esoscheletro vuoto o in impalcatura opprimente. Cosi accade per il matrimonio, cui Adorno accenna negli aforismi 10 e 11 - un problema forse secondario e tuttavia sintomatico di un climla diffuso. Il matrimonio (o comunque la vita in comune) e il rifugio estremo della fiducia, la rete di sicurezza della fallibilita. Li si spartiscono le bassezze come le sfumate delicatezze quotidiane, i gesti piü nobili come le imperfezioni. La struttura regge finché permangono in essa il perdono e la tolleranza. Se questi spariscono, alla letizia del sapersi protetti sopravviene l'inquietudine del tradimento perpetuo. Allora la diffamazione pubblica s'insinua, attraversa le consuetudini e i compromessi, ipoteca ogni familiarita; il pegno della fiducia diviene uno strumento affilato di offesa e ingiuria nelle mani di entrambe le parti. Non e strano dunque che, dinanzi a casi quale quello del matrimonio, il disfacimento della forma incoraggi una sortita quanto piü possibile celere da maglie troppo strette e minacciose. Del resto, considerazioni analoghe potrebbero proporsi, ad esempio, intorno al tema della legge e dei regolamenti istituzionali. Infatti la legge distaccata dall'esperienza si fa dispositivo di usurpazione e di coercizione, tanto piü se essa si attiene a norme intransigenti, immacolate, sclerotizzate. La ?traduzione di tutti i problemi di verita in problemi di potere? (Adorno 1951: 71), propugnata da Adorno, significa in ultima analisi la formulazione di un appunto critico non contro la discrezionalita, ma contro il puro arbitrio nell'applicazione della legge (cfr. ibid.: 71, 138). Quest'ultimo appare inevitabile se le regole implicite di condotta costringono alla doppiezza, mentre i codici espliciti decantano l'assoluta onesta. Che davvero sia dunque auspicabile una acritica e generalizzata liquidazione di forme ormai valevoli solo alla prevaricazione dei soggetti? Si e parlato di "regole implicite" - e cio basta a confutare l'ipotesi di un totale annientamento delle forme. Piü precisamente: l'uomo non puo in nessun caso prescindere dalla forma. Per quanto ostenti disinteresse o si smarrisca in congetture chimeriche, l'uomo interpreta la propria Umwelt - il "mondo circostante" - e da forma cosi al suo mondo umano, unico e incomparabile (cfr. Gennari 2012). Accade allora che anche laddove si creda, in un primo momento, di ravvisare solo l'anarchia e l'anomia, esistano di fatto delle prassi vincolanti (dunque tacitamente sorrette da teoriei), che consistono pur esse nella mera dittatura della violenza. A questo proposito Adorno schizza un fulmineo ritratto di coloro che mentono sempre, in ogni occasione e senza ragione apparente; semplicemente, ciascuno desidera spandere ?intorno a sé il gelo di cui ha bisogno per vivere e prosperare? (Adorno 1951: 9). La menzogna perpetua si fa qui araldo del disprezzo reciproco. A quest'ultimo si deve sempre associare il disprezzo di sé e del proprio corpo, attraverso l'esibizione delle proprie sofferenze e dei propri sacrifici, in un titanismo che fa dell'identificazione con la macchina il traguardo estremo ma che tradisce in realtå solo il ?masochismo? (ibid.: 24) e la ?repressione? (ibid.: 87). Lo stesso, ancora, per coloro i quali necessitano di una pianificazione eteronoma inflessibile della ricerca e del pensiero: essi si sottomettono gaiamente ai cómpiti piü impellenti come al verdetto dell'ordine del giorno (cfr. ibid.: 80). Innestate sui relitti fatiscenti delle paure e delle nevrosi, le consuetudini deformate persistono rinnovandosi falsamente e riproducendosi, implacabili, assecondate da logiche dell'identitå. Ma la dialettica conosce il dialogo, movimento di danzatori sempre in disequilibrio; l'esperienza saprebbe soccorrere e riparare alle lacune della forma, contribuendo a foggiarla dall'interno; per contro, la forma saprebbe donare all'esperienza tono, consistenza, peso. Sperare di disfarsi delle forme contraffate della cultura e allora mera illusione, tanto piü crudele quanto piü il solo perseguirla giå rinserra nel controllo totale. Non esistono uscite d'emergenza, né varchi, né scappatoie; l'uomo e la forma che pretende di disconoscere. Del resto - e qui davvero e definitivamente si palesa l'autentica posizione filosofica dell'autore -, nessuno piü di Adorno ha saputo farsi critico intransigente dell'ingenuitå semplicista, dello spontaneismo e della pseudo-cultura esoterica o misticheggiante. Cosi i lavori dichiaratamente "eretici", l'occultismo o le mode new age si assoggettano docilmente al sistema onnivoro dell'industria culturale da cui pure vanamente vorrebbero evadere; non solo: il tenore critico che sanno sostenere e pressoché nullo, ottenebrato da sentimentalismi a buon mercato e da riti vaporosi (cfr. ibid.: 41). In alternativa, i portatori di differenze vistose (gli stranieri, i cultori del circo...) impiegano le loro peculiaritå schernendole, commiserandole, asservendole insomma a penose finalitå di guadagno (cfr. ibid.: 88). Né si speri di rintracciare, presso un qualche luogo selvaggio o una qualunque popolazione non civilizzata, l'incantamento che valga a redimere l'intero Occidente: per Adorno, il neofita e sempre il piü pronto all'ossequio e alla deferenza ottusa - quanto di piü lontano possa concepirsi dalla parvenza di un pensiero indipendente (cfr. ibid.: 32). Questo perché le vittime recano lo stigma della sopraffazione; e rivolgersi verso di loro in cerca di taumaturgie o panacee comporta un impoverimento concettuale, linguistico (cfr. ibid.: 65), critico. Dunque, in definitiva, occorre rigettare gli ammiccamenti dell'ingenuitå. Alla forma niente puo subentrare che non sia forma; e tuttavia, l'originarietå delle forme non puo mai smarrirsi definitivamente, poiché l'esperienza, incessante, si rigenera. Cosi la cultura, che pure talvolta pare indiscernibile dall'ideologia, serba la promessa piü autentica della vitalitå; la vivificazione, la trasformazione delle forme resta l'unico cammino filosoficamente e pedagogicamente percorribile per l'uomo.
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Abstract
In Minima moralia, Theodor W Adorno develops a discourse that bridges philosophy, sociology and pedagogy. The present article aims to highlight, in Adorno's work, the coexistence and the intertwining of these three dimensions, summing them up under the category of "form" - be it a social institution or a sign of the "formation" of every man. Other problems are then taken into account, namely the reification of forms and the decline of experience; finally, still following Minima moralia, the possibility of dismissing the very concepts of "form" and "formation" is discussed and rejected.
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1 Ricercatore del Centro Studi Don Lorenzo Milani